‘Weegee’, una stella nel cielo di Fotografia Europea. A Palazzo Magnani la mostra «Murder is my business» ne celebra il talento

– da “La Libertà” n. 18, dell’11 maggio 2013 –

Forse il cambiamento più importante della Settimana Europea della Fotografia di Reggio Emilia, che quest’anno ha proprio per titolo “Cambiare”, inaugurata ai chiostri di San Pietro il 3 maggio scorso, è quello che ha riguardato Graziano Delrio che da sindaco di Reggio Emilia è diventato ministro per gli Affari regionali e delle autonomie del Governo Letta. L’iniziativa infatti, giunta alla sua VIII edizione, è come al solito monumentale e neanche per un attimo penso a snocciolare qui i numeri riguardanti mostre, conferenze, incontri, workshop che si svolgono nei vari circuiti ‘in’ oppure ‘off’; per quello vale la pena consultare il sito fotografiaeuropea.it, dove ci sono tutti i chiarimenti del caso. In queste righe metterò sotto la lente d’ingrandimento due mostre che a mio parere vale assolutamente la pena visitare.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L[/dropcap]a prima è a Palazzo Magnani ed è dedicata al fotografo americano Arthur Fellig, in arte ‘Weegee’. La mostra è intitolata “Murder is my business”, tradotto semplicemente in “L’omicidio è il mio lavoro”, ma visto che lui non premeva il grilletto, ma semplicemente lo scatto della sua macchina fotografica, io lo tradurrei piuttosto in un ‘l’omicidio è il mio affare’.

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Weegee nasce nel 1899 a Zloczow vicino a Leopoli (allora in Austria, poi passata alla Polonia, adesso in Ucraina), ma nel 1910 la sua famiglia raggiunge a New York il padre, emigrato qualche anno prima a causa dei primi movimenti antisemiti. A dodici anni interrompe gli studi e inizia a lavorare come ragazzo di camera oscura per un’agenzia giornalistica della Grande Mela. La sua decisione è osteggiata dalla famiglia e decide di andarsene di casa. Inizia un periodo difficile, pieno di lavori saltuari, pasti nelle mense pubbliche e notti passate sulle panchine dei parchi o in quelle delle stazioni, ma nemmeno per un attimo Arthur pensa di abbandonare la fotografia e diventa assiduo del quartier generale della polizia di Manhattan, che gli dà anche il permesso di installare una radio sintonizzata sulle sue frequenze.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap] questo punto la sua station wagon diventa il suo ufficio e il suo laboratorio: “La mia auto è diventata la mia casa. è una due posti, con un grande vano bagagli. Ho tenuto tutto dentro, una fotocamera in più, lampade flash e chassis con le pellicole di ricambio, una macchina da scrivere, stivali da vigili del fuoco, scatole di sigari, pellicole a infrarossi per le riprese al buio, uniformi, travestimenti, un cambio di biancheria e delle scarpe extra. Con tutto questo ho avuto le mie ali”. C’è chi dice avesse nella macchina anche una piccola camera oscura per sviluppare e stampare le lastre.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L[/dropcap]a scena del delitto lo vedeva arrivare spesso prima della polizia e quando sul posto accorrevano i fotoreporter degli altri quotidiani, le sue fotografie erano già sul tavolo dei direttori degli stessi; mi verrebbe da dire un antesignano della fotografia digitale via internet.

Weegee sapeva a memoria il ‘cosa, quando, dove, come e perché’ del giornalismo, e sapeva che una fotografia lo doveva saper dire alla svelta, specialmente per un fatto di cronaca i cui titoli erano allora sparati a caratteri cubitali, e le foto di Weegee usavano proprio quei caratteri grandi ed essenziali.

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E arriva il successo. Nel 1943 si accorge di lui persino il “Museum of Modern Art”, che gli compra delle fotografie. Dopo la guerra la sua fama arriva a Hollywood e nel 1958 Stanley Kubrick lo chiama come consulente per il film “Il dottor Stranamore”. Gli ultimi anni della sua vita li passa in giro per il mondo a tenere lezioni, seminari o a inaugurare le sue mostre. Nel 1968 si spegne a New York, all’età di 69 anni.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L[/dropcap]a seconda mostra che vale la pena visitare è la retrospettiva, curata da Sandro Parmiggiani, sul lavoro della fotografa Carla Cerati – bergamasca di nascita ma milanese di adozione – allestita ai chiostri di San Domenico, sempre in città a Reggio Emilia.

Le oltre cento immagini esposte documentano l’intero percorso artistico della fotografa, uno sguardo eclettico, rivolto alla gente ma anche al paesaggio, al mondo della cultura e a quello del teatro, alla sofferenza dei malati degli ospedali psichiatrici e al mondo dei cocktail party della ‘Milano bene’.

Le mostre rimarranno aperte fino al 16 giugno. Per informazioni: Segreteria organizzativa, piazza Casotti 1, Reggio Emilia, tel. 0522.456249.

Giuseppe Maria Codazzi

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