Save the children

Le mamme con figli minorenni in Italia sono poco più di 6 milioni e nell’anno della pandemia molte di loro sono state significativamente penalizzate nel mercato del lavoro, a causa del carico di lavoro domestico e di cura che hanno dovuto sostenere durante i periodi di chiusura dei servizi per l’infanzia e delle scuole. 

Su 249 mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90 mila su 96 mila – erano già occupate part-time prima della pandemia[1].

È questo il quadro che emerge dal 6° Rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021”, diffuso in occasione della Festa della Mamma, da Save the Children – l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – sulle mamme in Italia che, oltre a sottolineare le difficoltà affrontate dalle mamme in un anno tanto difficile, come il 2020, fa emergere ancora una volta il gap tra Nord e Sud del Paese.

Un quadro che già prima della pandemia raccontava un‘Italia in cui la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, viene ritardata o non praticata spesso a causa dell’impossibilità di conciliare vita familiare e lavorativa.

Stando ai dati[2], nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la proprio la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze dei figli: assenza di parenti di supporto, elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (asilo nido o baby sitter), mancato accoglimento al nido, le giustificazioni più ricorrenti.

Un percorso a ostacoli all’orizzonte delle donne che scelgono di diventare madri, che detengono anche il primato delle più anziane d’Europa alla nascita del primo figlio (32,2 anni contro una media di mamme in EU di 29,4)[3]. E soprattutto fanno sempre meno figli: le nascite hanno registrato una ulteriore flessione, meno 16mila nel 2020 (-3,8% rispetto all’anno precedente).

Un’eccezione è quella della Provincia autonoma di Bolzano, in testa per tasso di natalità (9,6 nati per mille abitanti), mentre la Sardegna registra il tasso più basso (5,1 nati per mille abitanti). Secondo l’Istat, soprattutto negli ultimi mesi dell’anno (novembre e dicembre), si è particolarmente accentuata la variazione negativa delle nascite rispetto al 2019: a novembre, infatti, il calo è del -8,2% e in quello di dicembre tocca addirittura – 10,3%[4].

“Il Covid ha messo tutti noi di fronte a un’emergenza prima di tutto sanitaria, ma che presto si è rivelata essere una crisi anche sociale, economica ed educativa. Le mamme in Italia hanno pagato e continuano a pagare un tributo altissimo a queste emergenze.

I bambini a casa, il crollo improvviso del welfare familiare, dovuto alla necessità di proteggere i nonni dal contagio, il carico di cura e domestico eccessivo e la sua scarsa condivisione con il partner, misure di supporto non molto efficaci, sono tutti fattori che hanno portato allo stravolgimento della loro vita lavorativa.

È importante ora indirizzare gli sforzi verso la concreta realizzazione di obiettivi che mirino, oltre che ad incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ad affrancarle sul fronte del lavoro non retribuito.” ha commentato Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children.

Una situazione che si è solo aggravata con il Covid, ma che già prima della pandemia vedeva molte donne lasciate fuori dal mercato del lavoro a causa dell’impossibilità di coniugare vita lavorativa e familiare e realizzazione personale.

Le misure per creare un ambiente più favorevole alle mamme possono essere molte e coinvolgere diversi settori dell’intervento pubblico, su vari livelli di governo – spiega l’Organizzazione nel suo rapporto – ma devono seguire una politica organica per essere realmente efficaci. 

Ad oggi invece se il divario di genere nei tassi di occupazione è già alto nella popolazione generale, tra i genitori di figli minorenni registra livelli troppo elevati: nel 2020, è aumentato di mezzo punto, arrivando a 30,7 p.p. di differenza, con i papà occupati all’87,8% e le mamme occupate al 57,1%[5].

Inoltre, non solo le madri tendono ad essere molto meno presenti nel mondo del lavoro rispetto ai padri, ma la loro presenza, al contrario di quella dei padri, tende a diminuire al crescere del numero di figli.

“Questi dati ci dicono come non ci sia più altro tempo da perdere: sono necessarie scelte politiche che mirino alla costruzione senza più ritardi di un sistema di protezione, di garanzie e stimoli per superare una situazione che relega le madri unicamente alla cura dei figli e della casa.

Il primo passo dovrebbe essere quello di introdurre un congedo di paternità obbligatorio, per tutti i lavoratori, di almeno 3 mesi e di creare un sistema integrato da zero a sei anni, che offra un servizio di qualità e gratuito in cui i bambini abbiano la possibilità di apprendere e di vivere contesti educativi necessari al loro sviluppo” continua Antonella Inverno.

“Vi sono ora fondi stanziati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e in Legge di Bilancio ma è ancora da chiarire come intervenire in via prioritaria nelle aree più carenti, per creare un’offerta pubblica e di qualità in comuni dove mancano risorse e capacità amministrativa per gestire un servizio complesso come un asilo nido, un servizio però che può davvero essere un grimaldello per aumentare il benessere delle bambine e dei bambini, dei loro genitori e di tutta la comunità.”

Mamme e lavoro: un equilibrismo difficile alle prese con il Covid-19

Nell’anno del Covid-19, a causa della pandemia, sono svaniti in totale 456 mila posti di lavoro (-2% rispetto al 2019)[6]. Ad essere più colpite ancora una volta sono le donne che rappresentano 249 mila unità (- 2,5%) rispetto ai 207 mila uomini (- 1,5%).

 Nel solo periodo aprile-settembre 2020 il calo di lavoratrici in Italia è stato doppio rispetto alla media europea (il 4,1% delle 15-64enni, a fronte del 2,1% della media UE), registrando la contrazione più elevata dopo la Spagna; il nostro Paese è anche quello in cui il divario di genere nell’impatto della crisi nello stesso periodo è risultato il più elevato, con un gap di 1,7 p.p. tra uomini e donne[7].

 In particolare, guardando al versante delle madri, il saldo delle occupate fa segnare un calo di -96 mila donne tra il 2019 e il 2020, di cui in particolare 77 mila in meno tra coloro che hanno un bambino in età prescolare, -46 mila tra chi ha un figlio alla primaria (6-10 anni), mentre risultano aumentate le madri occupate con figli da 11 a 17 anni (+26 mila)[8].

Ancora, nel 2020 sono le donne per esempio a rappresentare la grande maggioranza degli occupati con un lavoro part-time, quasi 3 su 4 (73% del totale). Spesso sono mamme di figli minorenni: quasi 2 su 5 (il 38,1%) tra loro hanno un contratto part time a fronte del 5,6% dei papà nella stessa condizione[9].

Lo “shock organizzativo familiare”[10] causato dal lockdown, secondo le stime dell’Istat, avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati.

Lo “stress da conciliazione”, in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né fruire dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853 mila nuclei con figli 0-14enni, nello specifico 583 mila coppie e 270 mila monogenitori, questi ultimi in gran parte (l’84,8%) donne[11]. 

Anche le mamme che hanno mantenuto un’occupazione in smart working, alcuni studi hanno riscontrato maggiori criticità rispetto ai colleghi uomini, anche a causa del maggior carico domestico e di cura di figli e famiglia, aggravato dalla necessità di seguire i figli in DAD[12]. Le ricerche sottolineano come molte madri registrino segnali di affaticamento, emotivo e psicologico.

La pandemia sociale e le misure a favore delle famiglie

La diffusione del Covid-19 ha sorpreso un’Italia già lenta nel sostegno alla genitorialità e alle mamme in particolare. Durante la pandemia, il Governo è intervenuto con i decreti Cura Italia e Rilancio (e successivamente il DL 30/2021) a sostegno dei genitori lavoratori essenzialmente con l’introduzione di due misure: un congedo parentale straordinario e un bonus baby-sitter. 

Nel 2020 le domande accolte per il bonus baby-sitting sono state 1.078.173, da parte di 720 mila richiedenti (era necessario presentare una diversa domanda per ogni figlio), per un totale degli importi di quasi 1 miliardo di euro.

La maggior parte delle domande è stata presentata da mamme: il 70% nel settore privato/autonomo e il 61% nel pubblico. Per il congedo straordinario, le donne che hanno fatto richiesta sono state quasi 4 su 5, il 78% dei richiedenti[13]. 

Un chiaro segnale dello sbilanciamento del carico familiare all’interno della coppia e anche del maggiore peso sostenuto dalle madri lavoratrici nel corso dell’emergenza rispetto ai padri. Il fatto che nel congedo la retribuzione sia dimezzata spinge infatti il genitore con il reddito più basso a stare a casa.

A breve nel nostro Paese verrà introdotto l’assegno unico e universale[14], approvato con legge delega il 30 marzo scorso[15], una misura di sostegno economico per i figli a carico che rappresenta il primo pilastro della più ampia riforma disegnata con il Family Act.

Una grande occasione per imprimere una spinta decisiva alle politiche a sostegno dei bambini e dei genitori, rispetto alla quale dobbiamo scongiurare il rischio che scoraggi l’occupazione femminile. Per questo sarebbe necessario introdurre anche una maggiorazione per il secondo reddito, che si applicherebbe a circa 4 milioni di famiglie dove entrambi i genitori lavorano.

 L’Indice delle Madri

Il Rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021” di Save the Children, include come ogni anno, l’Indice delle Madri[16] che identifica le Regioni che si impegnano, di più o di meno, a sostenere la maternità in Italia. Elaborato dall’ISTAT per Save the Children, l’Indice valuta, attraverso 11 indicatori, la condizione delle madri in tre diverse aree: quella della cura[17], del lavoro[18] e dei servizi[19].

Anche quest’anno, sono le regioni del Nord ad essere più mother friendly: qui si registrano dati ben oltre la media nazionale, rispetto a quelle del Sud, dove tutti e tre gli indicatori si posizionano al di sotto di tale media.

Nell’indice generale, le regioni più virtuose risultano nuovamente le Province Autonome di Bolzano e Trento seguite da Valle d’Aosta (al 4° posto l’anno precedente) ed Emilia-Romagna (che perde una posizione). Fanalino di coda Campania (nello scorso Indice era penultima), Calabria (al 19° posto l’anno precedente) e Sicilia (che ha perso l’ultima posizione), precedute dalla Basilicata (era al 17° posto). 

Per le regioni del Mezzogiorno l’indice composito mostra sempre valori sotto 93, anche se il trend sembra in lieve miglioramento. L’Emilia-Romagna si attesta al 4° posto nell’Indice generale, una posizione in meno rispetto all’anno precedente.

Anche nell’area della cura i primi due posti sono occupati dalle Province Autonome di Bolzano e Trento (era quarta) mentre la terza posizione è della Lombardia (che perde una posizione rispetto all’anno precedente), seguita da Emilia-Romagna (era al 3° posto) e Piemonte (nella stessa posizione dell’anno precedente).

Emblematico il caso della Valle d’Aosta che, pur guadagnando due posizioni rispetto all’anno precedente, risulta al 9° posto, ben lontano dal terzo dell’Indice generale. Le ultime posizioni nell’area Cura sono occupate da Basilicata (che perde due posti) e Sardegna (che conferma la 20ma posizione) precedute da Puglia, che perde il non gradito ultimo posto, e Abruzzo (che conferma il 18° posto).

Anche nell’area della cura, l’Emilia-Romagna si posiziona al 4° posto, perdendo una posizione. C’è comunque da sottolineare un miglioramento generale, dovuto ad una propensione maggiore ad un’equa distribuzione nei carichi di cura e lavoro familiare all’interno delle coppie, anche se non ancora sufficiente a ridurre gli squilibri tuttora esistenti nella suddivisione dell’impegno familiare tra donne e uomini. Confrontando i valori 2020 rispetto a quelli del 2004, si riscontra un miglioramento in tutte le regioni.

L’ambito lavoro mostra la situazione delle regioni più virtuose immutata rispetto al 2020, con ai primi posti la Provincia Autonoma di Bolzano, la Valle d’Aosta e la Provincia Autonoma di Trento seguite da Emilia-Romagna e Lombardia, anche queste nelle stesse posizioni dell’anno scorso.

La regione Emilia-Romagna, anche qui è al 13° posto, confermando la posizione dell’anno precedente. Anche Sicilia, Campania e Calabria occupano rispettivamente il 2°, 20° e 19° posto, esattamente come nello scorso Indice.

Dai dati emerge un miglioramento della situazione dal 2004 al 2008, quando si registra un lento declino. Tutte le regioni del Mezzogiorno inoltre (fatta eccezione per l’Abruzzo del 2008), presentano per le sette annualità di confronto, valori largamente inferiori al 100 di riferimento.

Infine l’area servizi, dove nelle prime posizioni vengono confermate le stesse regioni della scorsa rilevazione. Al primo posto la Provincia Autonoma di Trento seguita da Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia. La Toscana occupa il 4° posto (il 5° l’anno precedente), mentre la Provincia Autonoma di Bolzano perde una posizione e si attesta al 5°.

I dati mostrano la crescita costante delle Province Autonome di Trento e Bolzano che, assieme a Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Toscana e Umbria sono le uniche, oggi, a presentare valori sopra quello di riferimento del 2004. L’Emilia-Romagna qui perde due posizioni e si ferma all’8° posto.

“Anche quest’anno, l’Indice delle madri mostra il netto divario tra regioni del nord e regioni del sud. Per quanto ci sia una miglioramento generale dei dati in tutte le regioni, quelle del nord mostrano valori più alti della media, mentre nel Mezzogiorno si riscontra l’esatto contrario con valori più bassi.

È evidente che al sud il gap non è mai stato superato in nessuna delle tre aree. Questo si traduce non solo in uno scarso riconoscimento dei bisogni e delle necessità delle donne che vogliono diventare madri, ma anche dei diritti relativi allo sviluppo e all’educazione di bambini e bambine” conclude Antonella Inverno.

Storie di madri durante il covid

Anche quest’anno, Save the Children ha raccolto le storie di alcune mamme che hanno voluto condividere la loro storia. Mamme “equilibriste” che durante la pandemia raccontano della paura di affrontare una gravidanza, o delle difficoltà nel conciliare lo smart working e la Dad dei propri figli o di non riuscire a trovare un lavoro dopo averlo perso, oppure di conciliare un lavoro in presenza, anche se ridotto, con la chiusura delle scuole.

Storie di donne, di mamme nell’anno più difficile che sono diventate un video e un prodotto multimediale, dove le mamme si raccontano e condividono questo 2020 con tutti noi. Inoltre, il 7 maggio alle ore 17.30 sul profilo Instagram di Save the Children si terrà un incontro proprio per parlare di “mamme”. Parteciperanno la Prof.ssa Azzurra Rinaldi, Francesca Fiore e Sarah Malnerich del blog Mammadimerda e l’attrice Valentina Melis, assieme ad Antonella Inverno

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