Le infinite valenze del cibo: a Correggio con Nanda Salsi

Domenica 11 dicembre alle 15.30 la presentazione del libro nella Sala Bellelli di via Mazzini

Viene presentato domenica 11 dicembre, alle 15.30, presso la Sala Bellelli – in via Mazzini 44 a Correggio – il libro “Le infinite valenze del cibo. La parola «acqua» non avrà mai sete” (Editrice Il Cerchio, collana Gli Archi, 230 pagine) della professoressa Nanda Salsi, fondatrice del Circolo culturale “Pier Giorgio Frassati”. Al tavolo dei relatori, oltre all’autrice, siederanno il giornalista ed enogastronomo Paolo Massobrio, il direttore de La Libertà Edoardo Tincani e don Carlo Castellini.
“Le infinite valenze del cibo” non è un libro di ricette né di gastronomia, ma un volume che presenta la cultura del cibo e che, partendo dall’Eden, passa attraverso le civiltà antiche, fino alla venuta di Cristo e al suo donarsi in Corpo e Sangue nel pane e nel vino. In questo excursus, vengono presentati personaggi come san Benedetto, Ildegarda di Bingen, Matilde di Canossa… fino salsi-nanda-locandinaagli ultimi tre Papi.
Dato l’avvicinarsi delle festività natalizie, di seguito pubblichiamo a mo’ di aperitivo un piccolo estratto del capitolo IV, intitolato “Chi rinuncerebbe ai cari ricordi delle festività vissute in una famiglia patriarcale?”.

L’attesa prima della Festa era vivissima e a goderne, per i piccoli doni, erano soprattutto i ragazzi. Forse il più straordinario per noi bambine era un segno inequivocabile e addirittura raro e invidiato dai ragazzi del vicinato: era un piccolo ramo di abete, alto poco più di un metro, che trovavamo appeso in alto, in un angolo della grande cucina, come se fosse spuntato da solo in quella notte. Infatti, non si è mai saputo dove mio padre, che ogni anno ci faceva la sorpresa, potesse trovare quel prezioso ramo di abete, visto che dalle nostre parti quegli alberi erano una rarissima presenza.
Non esistevano, in quegli ultimi anni di guerra, le palline luminose e colorate; ma gli ornamenti erano formati da qualche caramella, alcuni cioccolatini, un mandarino, piccole confezioni di Wafer chiamati ‘mignin’, e qualche ‘portugal’ (arancia): tutti legati accuratamente e appesi con il filo bianco sottile delle spagnolette da cucire a mano o con la macchina da cucire (che mia madre usava con tanta abilità che avevamo imparato anche noi bimbe ancor prima dei dieci anni). Ma le loro iridescenti carte di stagnola brillavano ad ogni ora del giorno e della notte e, per noi ragazzi, questo era altrettanto importante del gusto che avremmo provato a mangiarli.

Continua a leggere la seconda parte del saggio di Nanda Salsi su La Libertà del 10 dicembre

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