Immigrati e accoglienza: non è questione di sicurezza

Sull’accoglienza dei migranti le parole più profonde e vere le ha pronunciate papa Francesco. Lo scorso 14 gennaio, in occasione della Giornata del migrante e del rifugiato, ha parlato delle paure che suscita l’immigrazione. Paure “legittime, fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano”, perché “non è facile entrare nella cultura altrui, mettersi nei panni di persone così diverse da noi, comprenderne i pensieri e le esperienze”. Paure, dunque, che non costituiscono un peccato, perché: “Peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità. […] Peccato è rinunciare all’incontro con l’altro, con il diverso, con il prossimo, che di fatto è un’occasione privilegiata d’incontro con il Signore”.

Non si potrebbe dire di più e di meglio. Le parole del Papa sottolineano l’importanza dell’incontro con l’altro come fondamento del nostro essere umani. E c’invitano a impedire che la paura dello straniero diventi il criterio delle nostre scelte e dei nostri giudizi. Parole sulle quali tutti dovrebbero riflettere, ma in particolare chi sta cercando di trasformare una tragedia umanitaria in una questione di sicurezza e ordine pubblico.
Certe misure hanno l’evidente scopo di ostacolare l’accoglienza e rendere plausibili, anche sulla base di un’informazione tendenziosa o apertamente manipolata, azioni che trascendono ogni limite etico, ogni senso minimo di umanità.
L’obbiettivo è rappresentare il migrante come un pericolo e un potenziale criminale, comunque sia una persona da respingere, arrestare o scaricare di nascosto oltre frontiera alla stregua di uno scarto ingombrante e inquinante (accade lungo il confine ovest tra Francia e Italia).
Azioni favorite dal vuoto o dalla debolezza legislativa (un trattato come quello di Dublino va contro ogni principio di condivisione e corresponsabilità) e da accordi internazionali che appaltano la “gestione” dei migranti a dittature repressive come la Turchia o Stati in mano a bande armate e gruppi criminali come la Libia.
Azioni infamanti di cui l’Europa – culla dei diritti umani e della democrazia – dovrà un giorno rendere conto.
È fondamentale allora, a fronte di tale emorragia di umanità, denunciare le violenze, le ipocrisie, le manipolazioni. Non si tratta – come dicono gli impresari della propaganda – di essere “buonisti”, ma di esercitare la ragione e l’analisi onesta delle cose, quindi proporre misure che tengano conto della realtà e non la occultino sotto la grancassa degli slogan.

Continua a leggere l’articolo di Luigi Ciotti su La Libertà del 5 dicembre



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