Asia Bibi assolta dopo 9 anni di carcere

Caduta l’accusa di blasfemia si teme per il fondamentalismo

“Non vedo l’ora di riabbracciare mia madre. Finalmente le nostre preghiere sono state ascoltate!”. Con la voce rotta dal pianto Eisham Ashiq, la figlia minore di Asia Bibi, commenta la notizia dell’assoluzione della madre, decisa dalla Corte Suprema e resa nota il 31 ottobre. “È la notizia più bella che potessimo avere, è stato difficilissimo in questi anni stare lontano da mia moglie e saperla in quelle terribili condizioni”, ha aggiunto il marito di Asia, Ashiq Masih.

Si chiude il lungo dramma della donna cattolica accusata di blasfemia che dopo 3.420 giorni di carcere potrà finalmente tornare in libertà. Era il 14 giugno del 2009 quando nei dintorni del paesino di Ittanwali, nel distretto di Sheikpura nella provincia pachistana del Punjab, Asia, all’epoca trentottenne, stava raccogliendo delle bacche assieme ad altre braccianti. Le viene chiesto di andare a prendere l’acqua e in una calda giornata estiva lei osa bere da un bicchiere di latta trovato accanto al secchio.

“Non puoi bere l’acqua dal nostro bicchiere, i cristiani sono impuri e non devono bere dagli utensili dei musulmani”, le gridano alcune donne musulmane che lavoravano con lei. Nasce un piccolo alterco, ma tutto finisce lì. Due donne musulmane però raccontano l’accaduto ad un imam locale, il quale cinque giorni dopo l’accaduto e senza aver assistito al fatto, presenta una denuncia per blasfemia a carico di Asia accusandola di aver offeso il Profeta Maometto, un reato che in Pakistan è punito con la pena di morte, in base all’articolo 295 comma C del codice penale pachistano, meglio noto – assieme al comma B dello stesso articolo – come legge antiblasfemia.

Leggi tutto l’articolo di Marta Petrosillo su La Libertà del 14 novembre



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