Affido, la narrazione positiva

L’esperienza delle Famiglie del Gelso, basata sulla collaborazione

Sono tante le buone prassi di accoglienza affidataria. Nella lettera che alcune importanti associazioni impegnate sul campo hanno diramato dopo le indagini scattate sui servizi sociali in Val d’Enza, pubblicata la settimana scorsa, i firmatari chiedono “di raccontare anche queste belle storie, senza nascondere le criticità”. La Libertà raccoglie la richiesta di una narrazione positiva dell’affido, facendosi aiutare dalle Famiglie del Gelso. Si tratta di una realtà di servizio ben consolidata nella nostra provincia grazie alle Case della Carità, alla Caritas e alla Pastorale Familiare diocesana, già diffusa fra Modena e Bologna e che può vantare felici tentativi d’imitazione anche altri territori.

L’esperienza è stata avviata a Reggio nel 1997, in seguito a un accordo tra i responsabili dei servizi sociali dell’area infanzia e un gruppo di famiglie dell’emergenza, inizialmente molto ridotto, disponibile a dare ospitalità ogniqualvolta si fosse presentato il caso di un minore “momentaneamente” abbandonato. Il nome Famiglie del Gelso è stato adottato lungo il cammino per richiamare il famoso albero del Vangelo che potrebbe trapiantarsi nel mare: un’azione impossibile agli uomini da soli, ma possibile in Dio, se si ha fede.

Sono forse genitori-eroi, dunque? Nient’affatto. Il segreto di queste famiglie, che negli anni hanno sbrigato centinaia di situazioni difficili, è contenuto in una verità quasi lapalissiana: per fare sentire a casa quei bambini che all’improvviso e per un tempo di solito inferiore a 30 giorni vengano a trovarsi senza genitore/i (assenza di reti parentali o amicali, ricoveri o malattie gravi, allontanamenti d’urgenza disposti dal Tribunale dei Minorenni…), non serve un’équipe di specialisti dall’altisonante curriculum quanto piuttosto l’ordinario calore domestico di una famiglia.

Continua a leggere tutto l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 17 luglio



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