Nel 2019 diminuite le esecuzioni capitali

Sono diminuite nel 2019 le esecuzioni capitali documentate; sono il 5% in meno rispetto al 2018, confermando così una riduzione in corso negli ultimi anni; tre stati: Iran, Arabia Saudita e Iraq sono responsabili dell’81% delle sentenze capitali.

Lo dice il Rapporto 2019 sulla pena di morte di Amnesty International pubblicato il 21 aprile scorso.

Sono state almeno 657 le esecuzioni nel mondo lo scorso anno e oltre 2300 le condanne a morte comminate. Evidentemente in tale cifra non è inclusa la Cina dove i dati sulla pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato.

Se l’Iran è, escludendo la Cina, il paese con il numero più alto di esecuzioni (almeno 251), a destare maggiore attenzione è l’Arabia Saudita che con 184 persone messe a morte tocca il valore più alto mai registrato da Amnesty International, in un anno, nel paese.

Tra le tendenze più incoraggianti, si registra il calo, per la prima volta dal 2011, del numero di paesi esecutori nella regione Asia e Pacifico con Giappone e Singapore che hanno ridotto drasticamente il numero di persone messe a morte

Rispetto al 2018, il numero delle esecuzioni si è considerevolmente abbassato in Egitto (da più di 43 a più di 32), Giappone (da 15 a 3) e Singapore (da 13 a 4). In direzione opposta, le esecuzioni sono aumentate in modo significativo in Iraq (da più di 52 a più di 100), Arabia Saudita (da 149 a 184), Sudan del Sud (da più di 7 a più di 11) e Yemen (da più di 4 a 7).

L’81% di tutte le sentenze capitali sono state eseguite in Iran, Arabia Saudita e Iraq.

Decapitazione (Arabia Saudita), fucilazione (Barhain, Bielorussia, Cina, Corea del Nord, Somalia Yemen), impiccagione (Bangladesh, Botswana, Egitto, Giappone, Iran, Iraq, Pakistan, Singapore, Sudan del Sud, Siria Sudan), iniezione letale (Cina, Stati Uniti d’America, Vietnam), sedia elettrica (Stati Uniti d’America) son i metodi d’esecuzione praticati nel 2019.

gar

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