Per una sociologia della mafia

Voglio incominciare con una curiosità. Non si sa bene che cosa significhi la parola “mafia”. Ma si sa quando compare per la prima volta. Compare in un testo teatrale, I mafiusi di la Vicaria di Palermo (e cioè “I mafiosi dell’Ucciardone”), con sottotitolo Scene popolari in tre atti – un “copione” attribuito a Giuseppe Rizzotto, capo di una compagnia teatrale, ma al quale contribuì probabilmente Gaspare Mosca, un maestro elementare.
I mafiusi di la Vicaria è uno spaccato di vita carceraria nell’anno 1854 (al tempo dei Borboni), ma si conclude fuori dal carcere, nelle strade di Palermo, nel 1861, dopo l’unificazione d’Italia. Scritto presumibilmente nel 1862, rappresentato per la prima volta nel 1863, ebbe un successo inaspettato.

Molto ci sarebbe da dire su I mafiusi di la Vicaria. Ma quello che volevo segnalare in questa occasione è che la parola “mafiosi” non esiste prima di comparire in questo testo; anzi, di più, la parola non compare neanche dentro il testo, dove i carcerati sono indicati sempre come “camorristi”, ma solo nel titolo; dal che si deduce che è stata aggiunta alla fine (e non necessariamente da parte degli autori). In ogni caso il termine, qualunque sia la sua etimologia – dall’arabo probabilmente – ebbe fortuna e si diffuse rapidamente, tanto da essere adottato anche dai diretti interessati – cioè dai criminali.
D’altronde anche nel libro di Leonardo Sciascia, I pugnalatori, tutti i documenti citati, che si riferiscono al 1862, non parlano di “mafiosi”, ma di “camorristi”.

Leggi tutto l’articolo di Antonio Petrucci su La Libertà dell’1 aprile

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