Pandemia, così si manifesta la Misericordia

Decreto del Vescovo su «Speciali Indulgenze ai fedeli e Sacramento della Riconciliazione» nell’emergenza

Su La Libertà dell’1 aprile il testo integrale del decreto del Vescovo e l’intervista integrale a don Matteo Bondavalli di cui proponiamo un breve estratto.

Le norme per Indulgenza plenaria, confessione, commiato: i

ntervista a don Matteo Bondavalli

La roccia a cui attaccarsi in questo tempo di fragilità, inquietudini e drammatiche solitudini resta la misericordia divina. Misericordia che, come ha ricordato il Papa nella seconda udienza trasmessa in diretta streaming dal palazzo apostolico vaticano, “non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana, è “l’aria da respirare”.
Misericordia è anche la parola chiave attraverso cui leggere il recente Decreto della Penitenzieria Apostolica “circa la concessione di speciali Indulgenze ai fedeli nell’attuale situazione di pandemia” e le conseguenti disposizioni diocesane emanate dal vescovo Massimo Camisasca il 21 marzo 2020, che pubblichiamo integralmente in queste pagine per la più ampia conoscenza. Per una loro corretta ricezione e per approfondire il tema del perdono intervistiamo don Matteo Bondavalli, parroco dell’unità pastorale “San Giovanni Paolo II” in Reggio Emilia e direttore dell’Ufficio Liturgico.

Nella prima parte del decreto vengono presentate le categorie a cui l’Indulgenza plenaria è accordata. Qual è il criterio che sta alla base?
Direi la cura. Anzitutto ci sono i fedeli affetti da Coronavirus, a cui sono dirette le azioni di farmacisti, medici, infermieri e volontari del soccorso; poi gli operatori sanitari e i familiari, che si prendono cura dei malati donando tempo e vita; infine tutti i fedeli che accudiscono il prossimo più bisognoso o esposto attraverso la loro preghiera, praticando le opere di misericordia.
In questo tempo tante sono le occasioni di vivere la comunione nella preghiera offerte dal Papa, dalla Chiesa italiana e dalla Diocesi: cito solo la Benedizione “Urbi et Orbi” del 27 marzo, il Rosario per il Paese nella solennità di san Giuseppe o la Messa quotidiana trasmessa in tv e su internet dalla cappella del vescovado di Reggio Emilia. Rivolgere il cuore alle membra sofferenti della Chiesa è l’azione attraverso cui in tanti sperimentano la grazia di Dio. Avendo cura del prossimo, ci si accorge di quanto Dio ami ciascuno di noi.

Si può dire che le preghiere dei fedeli compensano quelle che malati e moribondi non possono elevare?
In un certo qual modo sì, esse si affiancano a quel dialogo fra Dio e il malato che per certi aspetti è misterioso a nostri occhi, perché solo Dio conosce fino in fondo il cuore dell’uomo. Forse però mai come ora stiamo riscoprendo il valore della comunione dei santi, che si è resa più visibile attraverso queste forme eccezionali che già il Concilio Vaticano II aveva previsto e che oggi trovano applicazione. L’Indulgenza plenaria in questo periodo, ad esempio, attinge proprio al tesoro che proviene dalla comunione e dall’intercessione dei santi, in primis quella di Maria, come si legge nella Lumen Gentium al numero 49.

Con il Covid-19 cambiano anche le attenzioni pastorali nei confronti dei malati ricoverati in strutture sanitarie. In che modo?
La discriminante è che spesso i malati di Covid-19 non possono essere visitati, dunque per il sacerdote è più difficile raggiungerli. La possibilità dipende anche dalle disponibilità che ogni struttura sanitaria può mettere in campo, dando al presbitero tutte le istruzioni necessarie per un incontro a distanza, perché la visita vera e propria al capezzale è consentita esclusivamente al personale sanitario.

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