Gli aneddoti di don Franceschini, in missione a Manakara
Dal bollettino dell’unità pastorale “San Giovanni Paolo II” riprendiamo l’intervista che don Simone Franceschini, membro della Comunità sacerdotale Familiaris Consortio in missione da due anni in Madagascar, a Manakara (insieme al parroco don Luca Fornaciari), ha rilasciato durante la sua recente visita a Reggio, in occasione della festa di san Prospero.
Don Simone, quando hai deciso di diventare prete e perché? Avevi mai pensato di diventare missionario?
La mia vocazione e il mio desiderio per il sacerdozio si sono accesi nell’infanzia, nell’adolescenza e nella giovinezza, quindi a più riprese. Nel periodo dell’adolescenza il desiderio della vocazione era strettamente legato a quello della missione, grazie ai racconti di qualche missionario tra i frati che conoscevo, che frequentavano casa nostra o erano amici di famiglia. Quindi in realtà non è stata proprio una novità nel mio cammino vocazionale, ma aveva una radice in quel periodo.
Dopo qualche anno di missione, puoi dire che sia come te la aspettavi o è qualcosa di diverso?
Immaginavo che ci fosse una certa distanza tra l’umanità malgascia, l’umanità africana – ma malgascio è diverso da africano, malgascio è più giusto – e noi; cosa che è vera, tuttavia ho riscontrato meno distanza rispetto a quanto credevo all’inizio. Quando osservo i bambini, vedo che in fondo non sono diversi dai nostri bambini. Quando vedo i giovani e vedo come si atteggiano con gli altri giovani (adesso arrivano e si stanno diffondendo anche i cellulari), mi accorgo che i loro atteggiamenti sono veramente simili a quelli dei nostri ragazzi. Quindi, in definitiva, posso proprio dire che è tutto un altro mondo, ma che c’è davvero qualche cosa che accomuna l’uomo di ogni latitudine.
Leggi il testo completo dell’articolo su La Libertà dell’8 gennaio