La Ghiara? Un quadro

Se anche il Giubileo straordinario della Ghiara si è concluso, sono molti i benefici che ci rimangono.
E poiché scripta manent, tra questi va certamente annoverato il volume di pregio pubblicato in ottobre da Franca Manenti Valli, dal titolo L’architettura della Ghiara a Reggio Emilia: il ‘modello quadro’ (Consulta, 180 pagine a colori con tavole, immagini e apparati, 25 euro).
Un volume che l’autrice ha inteso dedicare a monsignor Nerio Artioli, a padre Fiorenzo Maria Gobbo “e a quanti, nel corso del tempo, mi hanno indicato la via della Ghiara”. Come annota nella breve premessa Gino Farina, coordinatore del Comitato per le Celebrazioni del IV Centenario della traslazione dell’immagine miracolosa della Madonna della Ghiara, “la lettura matematica della progettazione del Tempio è un affascinante percorso interpretativo che ci fa capire come la scienza partecipi profondamente anche alla esaltazione del mistero della fede”.
Approfondiamo la nuova opera con l’architetto Manenti Valli.

Qual è il suo rapporto personale con la Basilica?
Rapporto plurimo il mio con la chiesa della Ghiara. Inizialmente affettivo: mia madre, devota alla Vergine, mi portava da bambina anche se il tratto di strada era piuttosto lungo.
Si trova invece vicinissima alla Basilica la casa in cui abito, dopo il matrimonio. Sulla scala – cosa insolita in una dimora cittadina – è posta una copia seicentesca dell’Immagine del Bertone, cui sottostà una piccola lampada che non si è mai spenta da quando l’ultimo acquirente fece porre la tela nel 1931. Ogni volta che esco me la trovo a fronte: protettiva, vigile, invitante.

Quasi un monito a non lasciare cadere l’attenzione…
A un richiamo così palese, così insistito… non era possibile disattendere. Infatti il confronto tra l’immagine votiva e il bozzetto dell’Orsi cui era ispirata è il primo tema trattato nel mio recente studio.

 

Che tipo di studio ne ha fatto?
Un’analisi meramente compositiva suggerita dal profilo corrente nella perimetrazione dell’una e dal cenno inusitato di arco nella parte superirore dell’altro. Sarà anche questa diversa geometria a fare la differenza espressiva, come fa rilevare l’Artioli, cogliendo emotivamente nel bozzetto leliano “l’incanto di quel dolce viso reclinato di madre fissa negli occhi del fanciullo [che] si è perduto nel riporto”.
Perché si è perduta, da parte del Bertone, la ragione metrica perseguita dall’Orsi.

 

E dal punto di vista professionale, quando è stata la prima occasione in cui si è cimentata con la nostra Basilica?
Proprio su sollecitazione di monsignor Nerio Artioli, storico dell’arte attento alle ricerche sulle strutture e all’interpretazione delle misure, mi sono occupata per la prima volta dell’impianto architettonico nel 1974 in occasione del convegno “Un santuario e una città”.
Il mio interesse è proseguito nel tempo con il gratificante apporto di padre Fiorenzo Maria Gobbo allo studio della cappella della Vergine e alla rappresentazione/interpretazione dei pertinenti simboli. Lavorare insieme con ottiche diverse significava ritrovare la convergenza di più discipline per rendere la complessità del costruito, di cui spesso si conosce l’aspetto formale ma si ignorano i presupposti che gli hanno dato origine. Ecco dunque l’approccio scientifico che si innesta su quello professionale, affrontato in seguito con l’intervento di restauro della stessa cappella e il progetto, non realizzato, di ristrutturazione del Convento dei Servi che gravita attorno al chiostro piccolo.
Dai saggi murari e dalla relazione tra le misure di rilievo è stato possibile, in quest’ultino caso, ricomporre graficamente l’assetto della chiesa servitana che precedeva quella votiva.

E arriviamo al IV centenario della traslazione dell’immagine miracolosa…
In questo IV centenario si è fatto pressante il desiderio di ripercorrere la via della Ghiara, ritornando su temi già toccati alla luce di ulteriori approfondimenti condotti nel frattempo.
Tra gli esiti piu significativi di questa rivisitazione a distanza – come si capisce dal confronto dei grafici di primo progetto con l’edizione attuale- c’è la constatazione di un cambiamento di programma, forse in corso d’opera, quando il Pacchioni assume la direzione del cantiere. Si potrebbe dire: da una chiave musicale a un’altra per dare diversa espressione al brano. Il Balbo nei disegni autografi aveva scelto un modulo costante, ripetitivo, monocorde – come è nella norma per le chiese a pianta centrale, la cui tipologia è teorizzata da Sebastiano Serlio ne I sette libri dell’architettura – cui riferire la griglia di supporto alle strutture portanti. Accade che la profondità dei bracci di croce che aggettano sui quattro lati del corpo centrale sia pari al diametro delle cappelle e questo, a sua volta, alla metà di quello della cupola.

Continua a leggere l’articolo su La Libertà dell’11 dicembre…

 

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