Tilde, una sorella per tutti

Martedì sera in Sant’Agostino l’incontro con il postulatore

Martedì 19 novembre alle 20.45 nel teatro parrocchiale di Sant’Agostino a Reggio il gruppo “Amici di Tilde” propone l’incontro “Tilde e la risposta all’Amore. Una sorella per tutti noi” (si veda la locandina) per approfondire la conoscenza della vita della Serva di Dio di origine reggiana Tilde Manzotti. Nella serata, a cui sarà presente il vescovo Massimo, interverranno padre Gianni Festa, postulatore della causa di beatificazione di Tilde Manzotti, e don Alessandro Andreini, collaboratore esterno della causa, moderati da Fabiana Guerra, coordinatrice del gruppo promotore. Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo del frate domenicano Simone Garavaglia, intitolato “Una rosa sfogliata per amore”. La prima parte è stata pubblicata su La Libertà del 6 novembre.

Non è raro che la sofferenza divenga uno strumento di santificazione: un’oblazione costante attraverso cui si intraprende un cammino di immedesimazione a Cristo. Quella della laica domenicana e Serva di Dio Tilde Manzotti, in corso di beatificazione, è una storia in cui un cuore progressivamente infiammato da Cristo e, al contempo, un desiderio spassionato di offrire tutta sé stessa per un bene superiore, si intrecciano in un crescendo talvolta esemplare. Tracciando alcuni tratti della spiritualità di Tilde Manzotti non si può prescindere da un approccio contraddistinto dalla gradualità. È in tal modo infatti che l’iniziale desiderio di una libertà soprannaturale – accompagnato da un vuoto d’amore, non ben determinabile e talvolta ribelle -, si è evoluto nella consapevolezza che una risposta umana a tale bisogno sia insufficiente, per poi sfociare in una graduale conformazione al Cristo sofferente, oggetto della sua esigenza di Assoluto. Ciò attraverso la trasformazione di tutta la sua esistenza in obbedienza a Dio e amore verso il prossimo.

La sofferenza agli occhi del mondo è una battaglia, in cui si vince o si perde, e così fu anche per Tilde sino alla sua totale conversione. Quando, però, è proprio alla luce dell’esperienza della sofferenza che quel “li amò sino alla fine” (Gv 13,1) acquista un significato radicale, allora è la svolta. Tilde sperimentò questo mutamento di prospettiva nel momento in cui, lasciando in disparte quelle labili “certezze” umane, sconvolte sovente dalla sofferenza, l’azione della grazia iniziò a produrre frutti meravigliosi e, forse, inaspettati. Ecco che, allora, tutto viene trasformato in amore; il dolore, la malattia, finanche la morte divengono uno strumento di divinizzazione della propria umanità, attraverso cui conformarsi a Cristo, essere Figli nel figlio, “eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm 8,17). Non è iperbolico vedere nel dolore, vissuto cristianamente, un mezzo prediletto che deifica l’uomo (è la cosiddetta theosis che, come rilevano i Padri, si chiarisce non già sul piano ontologico ma nell’ottica di una intima comunione tra l’uomo e Dio, la cui condizione pare ravvisabile proprio nel Mistero dell’Incarnazione). La partecipazione alle sofferenze del Cristo diviene la modalità attraverso cui trasformare il dolore in sacrificio d’amore per Dio e per il prossimo; esso diviene allora non un itinerario di morte, ma di gloria e fecondità.

Continua a leggere l’articolo di Simone Garavaglia su La Libertà del 13 novembre

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