Sull’origine della mafia e della parola «MAFIA»

Mafia e latifondo

L’origine della mafia è collegata al latifondo. Su questo collegamento i primi a occuparsi del fenomeno (Pasquale Villari, Franchetti e Sonnino eccetera) non hanno alcun dubbio. Più precisamente l’origine della mafia rinvia alla figura del gabellotto. Era costui che gestiva il latifondo per il legittimo proprietario, perlopiù un aristocratico che viveva in città e trovava comodo dare le proprie terre a gabella – il che rendeva il gabellotto in pratica il padrone della terra. Si creò così, fra aristocrazia e contadini, una classe intermedia, una borghesia violenta e facinorosa che, col tempo, finì per soppiantare completamente i vecchi proprietari.

Anche autori a noi più vicini, come Spampinato, del resto, concordano: la mafia ha le sue radici nel feudo e nel latifondo. E il mafioso (indipendentemente dai suoi metodi) è un “mediatore di potere” (un power broker) che esercita la sua mediazione fra proprietari e contadini, fra città e campagna, ma anche fra potere centrale e potere locale. Naturalmente ciò che si produceva nel latifondo (salvo quanto serviva alla sopravvivenza dei produttori) veniva dirottato verso le città e verso la Città per eccellenza che era Palermo e così, inurbandosi, la mafia incominciò a specializzarsi in vari settori (macellazione, mercato ittico eccetera). Questo fenomeno di inurbamento è una costante e si manifesterà anche dopo la seconda guerra mondiale – quando i Corleonesi sposteranno l’attenzione su Palermo.

Mafia e società segrete

Voglio però esporre anche un’ipotesi diversa: l’ipotesi che almeno la “mafia di città” abbia avuto origine al tempo delle società segrete; all’inizio dell’800, dopo il Congresso di Vienna, quando per l’appunto le società segrete (e, soprattutto al Sud, la Carboneria) prosperarono sognando la rivoluzione e lo statuto. Mi induce a questa ipotesi, sostanzialmente, il rituale della Carboneria e quello della mafia (e della ’ndrangheta), rituale basato sul giuramento e sul versamento di sangue.
“Ha quindi luogo la cerimonia del giuramento che consiste nel chiedere a ognuno con quale mano spara e nel praticargli una piccola incisione nel dito indice della mano indicata, per farne uscire una goccia di sangue con cui viene imbrattata una immagine sacra: molto spesso quella dell’Annunziata, la cui festa cade il 25 marzo e che è ritenuta patrona di Cosa Nostra (…) Mentre l’indice dell’iniziato viene punto, il rappresentante gli ingiunge in tono severo di non tradire mai, perché si entra in cosa Nostra col sangue e se ne esce solo col sangue. Particolare curioso: in alcune famiglie si usa per pungere l’indice una spina di arancio amaro; in altre, invece, una spilla, sempre la stessa…”.

Si noti che la pagina che abbiamo proposta è tratta dal libro di Giovanni Falcone, Cose di Cosa Nostra, e si riferisce pertanto non alla mafia delle origini, ma a quella moderna e spregiudicata degli anni Ottanta.

Continua a leggere tutto l’articolo di Antonio Petrucci su “La Libertà” del 13 novembre

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