Suicidio assistito, sconfitta per tutti

Considerazioni sull’ultima sentenza della Corte Costituzionale

Che dire di questa sentenza della Consulta su uno specifico episodio riguardante l’accompagnamento di un malato affetto da severa patologia e disabilità in un altro Stato per essere accompagnato verso la morte ?
La semplificazione che oggi viene fatta tra chi propugna il diritto all’autodeterminazione e chi sostiene il giusto principio che la vita non appartiene al singolo individuo, il quale conseguentemente non potrebbe disporne a piacimento, non aiuta a capire realmente la problematica.

Quale autodeterminazione
Da una parte mi fa un po’ sorridere questo proclamare il diritto all’autodeterminazione quando questo diritto potrebbe essere (con molti se) esercitabile soltanto nel determinare la fine della propria vita. Se ci pensiamo bene questo concetto diventa molto riduttivo perché nessuno di noi ha deciso quando, come e dove nascere, nessuno di noi ha deciso quando e come ammalarsi. Dunque una autodeterminazione che sembra fondamentalmente una sconfitta, un assecondare un ipotetico “fato” che ci ha messi in una condizione di estrema fatica e sofferenza.

Palliazione e prendersi cura: si può fare di più
D’altra parte chi, come me, per molti anni ha calcato corsie di ospedale affollate di pazienti affetti dalle più disparate patologie sa bene cosa vuol dire il dolore, l’angoscia e a volte l’abbandono nel quale sono confinati diversi pazienti. E questo è dovuto anche al fatto che ancora in ambito sanitario la cultura della palliazione, del prendersi carico, dell’accompagnare prendendolo per mano il paziente, specie il più sofferente, specie quello che non ha possibilità di guarigione ma che può essere comunque sempre curato, è ancora indietro. Non bastano le recenti azioni del legislatore (legge 38, legge 219) che hanno dichiarato come essenziali le cure palliative e hanno sancito che l’alleanza terapeutica tra medico e paziente deve essere oggetto di formalizzazione e portata avanti insieme.

Continua a leggere tutto l’articolo di Giuseppe Chesi, Medici cattolici – Reggio Emilia, su La Libertà del 2 ottobre

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