Il giovane volato via da Reggio

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Circa trent’anni fa c’era, nella nostra provincia, una multinazionale chimica che produceva, tra l’altro, del poliuretano espanso, una resina spessa e leggera che serve per fare isolanti termici per macchine termiche e criogeniche.
Nel personale vi era un capo operaio reggiano, di umili origini ma di notevole ingegno cui, tra l’altro, spettava di curare la macchina in cui avveniva la reazione che generava il poliuretano. Quando, per qualunque motivo, essa s’arrestava, erano dolori: le sostanze fluide che lo producevano nel condotto terminale reagivano prima ed occorreva smontare tutto per sbloccare e ripulire. Affinché ciò non avvenisse, ci si imponeva di non fermare mai: si dovevano fare 3 turni di 8 ore al dì, con conseguente aumento dei costi per lavoro straordinario costante.

Il nostro capo operaio concepì una macchina, che non operava diversamente, dal punto di vista chimico, di quella destinata a non sostare, ma era autopulente. Dopo otto ore di lavoro gli operai di turno fermavano l’alimentazione dei reagenti ed introducevano, con modalità ben studiata, aria compressa che tutto puliva, sicché, quando si voleva, si ripartiva senza problemi.
La multinazionale era nel frattempo cresciuta e, più che alla vendita del poliuretano, era interessata a venderne i reagenti per cui, forse anche sedotta dall’invenzione del nostro, lo nominò concessionario e si ritirò dall’Italia.

La macchina autopulente fu ridisegnata, da una dittarella reggiana, rigorosamente brevettata e prodotta, successivamente, in quattro esemplari: il primo per la nuova sede dell’ideatore – in provincia però di Modena -, la seconda per la succursale nel Veneto, una terza per la Germania, l’ultima per gli Usa. Ma per questa bisognava trovare chi la facesse marciare, chi ne vendesse il prodotto, chi gestisse i problemi sindacali che ne conseguono. La multinazionale venne in aiuto: avendo avuto sede a Reggio, aveva assunto, come tirocinante d’un anno, un giovanotto locale, laureato in chimica a Parma, che ai loro occhi aveva il merito, inusuale, di conoscere bene l’inglese ed il francese per eredità familiari, dato che con i genitori – reggiani – e fratellanza aveva vissuto all’estero per otto anni.
Nel periodo di “stage” aziendale, ad Almelo, aveva perfino imparato a parlucchiare in olandese (forse per merito delle olandesine?), il che ne faceva, per la Ditta, un collegamento ideale ed un impiegato promettente per l’assuntore.

Così partì con la quarta macchina per Huston, nel Texas, luogo ideale in cui produrre e vendere del poliuretano espanso, specie se, data l’autopulizia, si poteva farlo a prezzi concorrenziali.
Infatti a Huston risiedono i cantieri navali della Chicago Bridge, ditta specializzata nella costruzione in acciaio inox, materiale inevitabile per gli scafi che trasportano metano liquefatto (a – 168°C) e che diverrebbero fragili se di lamiera normale. Ma a questa bassa temperatura l’isolamento termico è essenziale; quindi il nostro giovanotto partiva col successo sicuro.
Però volle apportarvi contributi ulteriori: sviluppò un poliuretano espanso irrobustito con fibra di vetro che risultò essere il riempimento ideale delle eliche dei generatori eolici, che allora venivano sempre più installati anche negli Usa, con un diametro max di 120 m ~ !

Continua a leggere tutto l’articolo di Giorgio Ferrari su La Libertà del 10 luglio

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