CL, 50 anni di presenza a Reggio: «È bella la strada per chi cammina»

Due giorni di festa nella chiesa di San Francesco con la mostra, l’incontro con Giancarlo Cesana, il cabaret musicale e la Messa

Se dopo cinquant’anni di presenza a Reggio Emilia viene detto pubblicamente (riprendendo un verso di una canzone di Chieffo) “È bella la strada per chi cammina”, significa che nella comunità di Comunione e Liberazione il desiderio di camminare dentro l’appartenenza al movimento fondato dal Servo di Dio don Luigi Giussani è ancora forte. Lo si coglie osservando la mostra fotografica allestita nella chiesa di San Francesco così come nel clima della due giorni di festa organizzata nel centro di Reggio, in particolare nell’incontro con Giancarlo Cesana di sabato 29 giugno.

L’ospite è introdotto da due canti – “Vivere alla grande” di Daniele Semprini e “Di più” di Claudio Chieffo – e dalle parole di Andrea Ferrari, responsabile della Fraternità reggiana, che propone alcune pillole di storia locale: dalla comparsa nel 1966 del primo nucleo di Gioventù Studentesca in San Giorgio, con Giovanni Riva e don Luigi Gianferrari, fino alla nascita del Centro culturale “Charles Péguy” con l’innesto di Giuseppe Folloni e Giuliano Bassani, nel 1968; nei mesi successivi avrebbe preso forma “One Way” e di CL si comincerà a parlare dal 1972.
Primi tempi caratterizzati da un radicamento nella scuola, da opere culturali e sociali, dall’attenzione al mondo del lavoro e anche dalla passione per la polis, da divisioni e rinascite.
L’ascolto di Giancarlo Cesana, da poco tempo in pensione dal suo incarico di professore di Igiene Generale e Applicata all’Università degli Studi di Milano Bicocca, “tessera numero 3 di CL”, come si definisce ricordando prima di lui Giorgio Feliciani, serve a rimotivare il cammino del movimento tornando al carisma di Giussani, in un racconto fatto di aneddoti e battute sagaci. Il fatto singolare è che Cesana, storicamente, nasce come oppositore di Gs. Vediamo.

Cresciuto con una solida catechesi cattolica a Carate Brianza – dove la Democrazia Cristiana prendeva il 75% dei voti – nell’adolescenza si era allontanato dalla Chiesa: ragione e libertà, i due fuochi del suo ideale di vita, erano stati come soffocati dall’insistenza dei richiami dogmatici e morali di preti e suore. Sicché il nostro si ritrova ventenne a frequentare la Facoltà di Medicina nella Milano travolta dai tumulti del Sessantotto, inserito in una corrente di sinistra anche perché, da cristiano, colpito da un dolore: “Ho vissuto lo smottamento della fede del popolo”. Allora aveva già fiutato il gruppo di Gs, che però non lo convinceva fino in fondo: soprattutto lui, che ambiva a cambiare il mondo, non capiva perché la caritativa – uno dei pilatri che don Giussani aveva delineato, insieme a cultura e missione – dovesse insegnare ai partecipanti in primo luogo ad amare se stessi.

Continua a leggere tutto l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 10 luglio

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