Sassuolo festeggia don Tullio

Il presbitero è tornato in San Giovanni Neumann per il 60° di ordinazione

Domenica 2 giugno, nel cuore della sagra e nella festa dell’Ascensione, la comunità di San Giovanni Neumann ha celebrato con don Tullio Menozzi, suo parroco fondatore, il rendimento di grazie per il 60° dell’ordinazione presbiterale .
Di questa comunità, che nacque nei primi anni ’80 come parrocchia di San Giovanni Neumann al Parco, don Tullio accompagnò la gestazione e la nascita (e poi la crescita, fino al 2014), in una zona di espansione urbanistica, destinata ad erigenda parrocchia (su proposta di don Ercole e di San Giorgio, parrocchia matrice della città, e con l’assenso del vescovo Baroni) e disegnata dalla Diocesi con confini che assemblavano pertinenze delle parrocchie San Giorgio e Ancora.

Il fatto è che nel 1983, quando monsignor Baroni gli chiese di assumere l’incarico di delegato per l’erigenda parrocchia di San Giovanni Neumann, don Tullio era uno dei sacerdoti di San Giorgio, in servizio presso l’Oratorio Don Bosco, come collaboratore di don Ercole, già da 17 anni.
Era arrivato a Sassuolo il 19 settembre del 1966: 31 anni, una valigia, l’esperienza da curato (oggi diremmo vicario cooperatore) a San Polo, poi a Borzano di Albinea, poi a Santa Teresa in Reggio Emilia… In tasca la nomina: servizio all’Oratorio Don Bosco… collaboratore del direttore don Ercole…

Si guardava intorno un po’ sperduto; don Ercole: conosciuto fuggevolmente ai giorni del seminario; Sassuolo e l’Oratorio: non noti. Per fortuna incontrò un parrocchiano di passaggio che, vedendo un prete “nuovo” e giovane, immaginò la sua destinazione e lo sollevò della valigia: “Venga, l’accompagno io”.
Ben presto don Tullio si rese conto che lavorare a Sassuolo, in Oratorio, con don Ercole sarebbe stata non un’esperienza tra le tante, ma una palestra di vita a 360 gradi. Era in corso l’epopea “Costruzione del Nuovo Oratorio” ed era stata inaugurata la cosiddetta Palazzina C (una minima parte dell’opera).

Gli adempimenti burocratici, le scadenze, le peripezie, l’amministrazione, gli avanzamenti dei lavori, l’innalzarsi di costruzioni di pietra si intrecciavano mirabilmente con lo svolgimento delle attività pastorali, sia in Oratorio e in parrocchia che ad extra: nei pellegrinaggi, nelle gite, nei “campi”… E mai capitava che si affievolisse l’appassionata vocazione dei sacerdoti e dei collaboratori ad educare i ragazzi come “pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale”. Anche perché l’Oratorio si apriva oltre i confini della sua recinzione, come riferimento per altre realtà ecclesiali ed educative, nel fermento religioso civile e sociale generato dalle nuove parrocchie dei quartieri periferici.

Leggi tutto l’articolo di Pellegrina Pinelli su La Libertà del 19 giugno



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