Con l’aumento dell’Iva cresce il sommerso

Se l’incremento delle aliquote Iva non verrà disinnescato, oltre ai pesanti effetti recessivi sull’economia, l’Italia rischia anche un forte aumento dell’evasione. Infatti, il possibile aumento di 3 punti percentuali dell’aliquota ridotta e di 3,2 di quella ordinaria interesserebbe anche i servizi di manutenzione e di riparazione, gli onorari dei liberi professionisti e le ristrutturazioni edilizie . Con questo aumento d’imposta, di fatto, molti clienti finali sarebbero “spinti” a non pagarla affatto, evitando di richiedere al prestatore del servizio la fattura o la ricevuta fiscale. A dirlo è stata il 27 aprile la CGIA di Mestre che, oltre a ricordare che l’infedeltà fiscale sottrae alle casse dello Stato 113 miliardi di euro all’anno, lancia un appello anche ai due Vicepremier: “Proprio perché siamo in piena campagna elettorale – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – Di Maio e Salvini non possono limitarsi ad affermare che l’Iva non aumenterà. Devono dirci anche dove troveranno le risorse per evitare l’incremento d’imposta. Diversamente, i loro impegni non appaiono credibili, avvalorando così la tesi di coloro che prevedono una stangata fiscale a partire dall’inizio del 2020”.

Dalla CGIA segnalano che un aumento di un punto dell’aliquota ridotta (attualmente al 10 per cento) costerebbe agli italiani quasi 3 miliardi (2.896 milioni di euro) e quella ordinaria circa 4,3 (4.370 milioni di euro). Pertanto, non è da escludere che dei 23,1 miliardi di potenziale aumento (di cui 22.672 milioni di Iva ai quali si aggiungerebbero ulteriori 400 milioni di incremento delle accise sui carburanti), l’Esecutivo sia in grado di sterilizzarne solo una parte. Un’ipotesi, quest’ultima, ugualmente non gradita agli artigiani mestrini. Afferma il segretario Renato Mason: “Di fronte a una crescita economica ancora molto timida e incerta, l’eventuale incremento dell’Iva condizionerebbe negativamente i consumi interni e, conseguentemente, tutta l’economia, penalizzando in particolar modo le famiglie meno abbienti. Già oggi siamo tra i principali Paesi dell’Area euro ad avere l’aliquota ordinaria Iva più elevata. Se da noi è al 22 per cento, in Spagna è al 21, in Francia al 20 e in Germania al 19. Con un ritocco all’insù di 3,2 punti, saliremmo a 25,2. Nell’Eurozona nessuno potrebbe contare su un’aliquota così elevata”. Chi verrebbe penalizzato maggiormente da un eventuale aumento dell’Iva? “In termini assoluti – prosegue Zabeo – sarebbero i percettori di redditi più elevati, visto che a una maggiore disponibilità economica si accompagna una più elevata capacità di spesa.

La misurazione più corretta, tuttavia, si ottiene calcolando l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva sulla retribuzione netta di un capo famiglia. Adottando questa metodologia, l’aggravio più pesante interesserebbe i percettori di redditi bassi e, a parità di reddito, le famiglie più numerose”. Come affermato in precedenza, con più Iva avremmo degli effetti negativi per tutta l’economia. Circa il 60 per cento del nostro Pil, infatti, è riconducibile ai consumi delle famiglie. Nessun’altra voce che compone la ricchezza prodotta nel nostro Paese può vantare un’ incidenza percentuale così elevata. Se aumentassimo i prezzi dei beni e dei servizi, sicuramente ritoccheremmo all’insù un po’ l’inflazione, aiutando i conti pubblici; tuttavia, in questo modo penalizzeremmo tantissime famiglie e altrettanti lavoratori autonomi (artigiani, piccoli negozianti e partite Iva) che vivono quasi esclusivamente di domanda interna. “Teniamo a sottolineare – conclude Mason – che rispetto all’anno precrisi, vale a dire il 2007, i consumi delle famiglie italiane sono ancora inferiori di circa 2,4 punti percentuali. Nell’Eurozona solo noi e la Grecia abbiamo questo record negativo, che ovviamente nessuno ci invidia”.

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