Il Girasole, solidali per «coltura»

Da più di quarant’anni inserimento lavorativo e formazione professionale insieme a persone diversamente abili. Parla il presidente Mirko Baccarani

Beh, le proprietà della pianta da cui la cooperativa sociale prende il nome ci sono tutte: il girasole anzitutto, con il suo giallo pieno, è bello da vedere. Ma presenta anche proprietà alimentari e curative. E la sua infiorescenza è composta di innumerevoli fiori che, una volta maturi, si trasformano in frutti. Per non parlare delle qualità nascoste che il lavoro di “coltivazione” permette di far emergere. È così che nel novembre 1977 la cooperativa “Il Girasole” ha cominciato a sbocciare a Reggio Emilia, per merito di un gruppo di volitivi genitori di giovani disabili, con lo scopo di creare per i loro figli opportunità di lavoro e di integrazione sociale.
La carta d’identità, quarantadue anni dopo, ci viene aperta e illustrata dal presidente: “Siamo una cooperativa sociale di tipo B: l’obiettivo di tutti i nostri progetti – dice Mirko Baccarani – è coinvolgere in modo attivo persone diversamente abili e in condizione di svantaggio, per crescere insieme nella dimensione dell’accoglienza, della solidarietà e della formazione professionale. I soci sono 48, dei quali 21 diversamente abili. Attualmente i ragazzi che operano ogni giorno in cooperativa sono 6, con disabilità e svantaggi medio-gravi. L’attività lavorativa e assistenziale è coordinata principalmente da tre operatori e da diversi volontari”.

Oggi “Il Girasole” è un nome affermato (e una garanzia) nel campo della ristorazione solidale, con catering & banqueting oppure chef a domicilio per matrimoni, coffee break, aperitivi, cene di gala e convegni, con la possibilità di impiegare materie prime provenienti dal circuito biologico ed equo-solidale.
Ma è curioso come a dettare le tappe di crescita della cooperativa – il “sole di riferimento – siano state proprio le capacità e le attitudini dei soci. Storicamente, sono così state promosse attività di maglieria, pittura su tela, confezione di biancheria, assemblaggio di componenti plastici ed elettrici, fino all’apertura di marchi – oggi si preferisce dire brand, ma ci siamo capiti – come il “Maki Pub” di Bagnolo (fino a febbraio 2017).

Leggi tutto l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 20 marzo

 

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