In difesa del mare

All’interno della così detta questione ecologica la battaglia in difesa del mare è fondamentale. Tale battaglia va combattuta su due fronti: quello dello sfruttamento irresponsabile e quello dell’inquinamento. Cominciamo dallo sfruttamento. Il mare, come del resto la natura intera, non è un pozzo senza fondo, ma una specie di libretto di risparmio: se vi si attinge indiscriminatamente alla fine non vi si trova più nulla. Da ciò la necessità di leggi che salvaguardino i fondali e diano alla fauna marina il tempo di ricostituirsi.

Jacques Cousteau, che è stato uno dei primi esploratori del “mondo silenzioso” (si intitola così, The silent world, un suo libro del 1954), è stato anche uno dei primi a segnalare il modo insensato in cui gli uomini gestiscono le ricchezze del mare: la stupidità, ad esempio, di adoperare per la pesca le reti a strascico o le bombe a mano. Ciò che si perde con questi sistemi è infinitamente più di quello che si guadagna: nel primo caso, i pesci sfuggiti alle reti, nel secondo quelli affondati sono dieci volte di più di quelli catturati – ma il danno sui fondali è incalcolabile.

Nel 1943, quando Cousteau e i suoi amici sperimentavano i primi respiratori automatici, la “questione ecologica” era ancora ignota. Il pericolo più grande era rappresentato dal pescecane “l’animale che ha eluso finora qualsiasi comprensione umana”, l’unico veramente imprevedibile nella sua apparente ottusità. In compenso, era ancora possibile incontrare le foche bianche, assistere al cruento rito della mattanza, nuotare in acque frequentate dai delfini. In un brano particolarmente efficace Cousteau descriveva i giochi dei delfini, la loro propensione allo scherzo, la loro capacità di rapportarsi con gli uomini. “I delfini hanno labbra che sanno sorridere e occhi scintillanti e sono socievoli e organizzati.” E concludeva: “Probabilmente ci sono più delfini in mare di quanto non ci siano uomini sulla terra”.

Continua a leggere tutto l’articolo di Antonio Petrucci su La Libertà del 6 marzo

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