Vittime del Mediterraneo a cui dare un nome

Tra le “Opere di misericordia corporale” la Dottrina cattolica elenca “seppellire i morti”, carità questa, che qualche tempo fa, era possibile, ad un fedele qualsiasi, solo in zone mondiali di estremo disagio ed in epoca di guerra.
Se la confrontiamo con tutte le altre Opere di misericordia indirizzate al soccorso fisico di viventi – affamati, ammalati, imprigionati, ignudi – e a quello morale di peccatori, afflitti, importuni, non vi è alcun dubbio che, ad un esame superficiale, il seppellire i morti non paia essere il più proficuo per il ricevente, neppure se si consideri la possibilità che, per effetto di vita eterna, egli se ne renda conto.
Ma è ben chiaro che alle Opere in questione il credente viene invitato non solo per il lenimento delle altrui sofferenze, ma anche, se non soprattutto, per migliorarvi la propria percezione delle altrui sofferenze, da cui non può che risultare un maggior spirito di carità, fondamento morale di tutta la Cristianità.

Su di un piano collettivo, ogni Opera di misericordia ha poi un valore esemplare che è uguale per tutte, per ogni testimone, e che dipende essenzialmente dalla difficoltà di metterlo in atto.
Ed è qui che il nostro volumetto, “Naufraghi senza volto” di Cristina Cattaneo (200 pagine, Raffaello Cortina editore) è assolutamente da consigliare, cosa che hanno fatto numerosi critici (Pagliaro, Feltri, Manconi, Barina) nei più diffusi quotidiani italiani, estraendone alcuni esempi che mostrano l’atrocità di essere condotti a morte dal peccato esemplare: quello di imporre ad altri ciò che non si vorrebbe per sé.

Continua a leggere l’articolo di Giorgio Ferrari su La Libertà del 20 febbraio

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