Manuel, Guido… ovvero nuotare per le vie della vita

Il dramma di Manuel Bortuzzo, il nuotatore 19enne ferito da alcuni colpi di pistola a Roma e che purtroppo rimarrà paralizzato, mi ha riportato alla memoria, come in un flash improvviso, l’esperienza di mio fratello Guido. Era il 1978, mio fratello era già stato convocato in nazionale, arrivavano le coppe, i premi – mai in denaro-, quintali di tute e accappatoi, i telegrammi della Federazione Nuoto e poi l’occasione…: “Puoi allenarti al Centro Federale dell’Acqua Acetosa a Roma, con i migliori atleti italiani, con il migliore allenatore Bubi Dennerlein, tutto spesato… vieni?”.
Mi ricordo le discussioni dei miei genitori la sera: “…Che facciamo? Ha solo 17 anni, andare a Roma da solo, c’è il terrorismo, gli attentati, e poi la scuola…”. Noi abitavamo in campagna, mia madre ci portava in città tutti i giorni alla mattina per la scuola e alla sera per la piscina, c’era una sola piscina coperta in città dove si alternavano le due squadre della città. Ci conoscevamo tutti, la piscina era un grande grembo protettivo dove ci si misurava, ci si confrontava ad armi pari e secondo le chiare leggi dello sport. Ci si tuffava amici e si usciva stanchissimi e ancora più amici. Io ero allora la sorellina di Guido – alla quale andavano regolarmente tirate le trecce – ed ero con chiara evidenza la sorella di tutti. Eravamo in effetti tutti biondi, ma questo solo per l’uso in quegli anni un po’ troppo disinvolto del cloro nell’acqua.

Alla fine dell’estate mio fratello partì ovvero i miei genitori lo lasciarono andare: fu determinante il parere di un genitore di una nuotatrice (che partiva anche lei ospitata da un Istituto di Orsoline) che disse che lui se lo era guadagnato questo onore, che era qualcosa che si faceva solo a quell’età, che altrimenti si avrebbe sempre avuto il rimpianto di sapere eccetera… Mio fratello Guido fece la quinta Ragioneria a Roma, professori nuovi, la Maturità oltre al tipico allenamento federale: sveglia alle 5, allenamento in vasca, alle 8 a scuola, al pomeriggio seduta in palestra e alla sera ancora in piscina. Per muoversi ed andare a scuola mio padre gli portò giù la sua Vespa ET3 Primavera che dopo pochi giorni subì l’onta del furto della sella – furto mai visto a Reggio Emilia – quindi per il resto dell’anno Guido girò per Roma con un cuscino sul serbatoio e la più grande catena che io avessi mai visto.

Leggi tutto l’articolo di Emanuela Armani su La Libertà del 13 febbraio

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