I piedi di Ronaldo

Nell’incompiuto Dieci anni dopo, pubblicato in italiano nella raccolta Prima che faccia notte a cura di Edoardo Rialti, Clive Staples Lewis ripercorre la conquista di Troia da parte degli Achei e gli eventi immediatamente successivi. Il lettore viene trasportato nella mente di Menelao, re di Sparta e marito della bella Elena, il cui rapimento da parte del principe troiano Paride ha segnato l’inizio del conflitto. Chiuso nel proverbiale cavallo di legno insieme ai soldati, in snervante attesa del segnale per l’attacco, egli si chiede come si comporterà con la moglie quando la ritroverà. Immagina in quali modi potrà punirla, preso tra il bruciore dell’umiliazione per il tradimento subito e la fiamma dell’antica passione, che nonostante tutto ancora arde in lui.

Raggiunto il palazzo reale, Menelao si trova di fronte a una donna non più giovane intenta a filare. E qui c’è il colpo di scena: “Lei sollevò lo sguardo e interruppe la sua filatura, ma ancora non si mosse. «La bambina» disse a voce bassa, «è ancora viva? Sta bene?». Allora, aiutato dalla voce, egli la riconobbe. E assieme al primo istante di riconoscimento, tutto quello che aveva costituito il nerbo del suo pensiero negli ultimi undici anni crollò in una rovina senza speranza. Né quella gelosia o quel desiderio, quella rabbia o quella tenerezza sarebbero tornate mai più. Non c’era niente in lui di adeguato per quello che vedeva. Per un istante dentro di lui non ci fu niente e basta. Perché non si era mai immaginato che lei potesse apparire così; mai sognato che la carne si accumulasse sotto il mento, che il viso potesse essere tanto grasso e allo stesso tempo tirato, che avesse capelli grigi sulle tempie e rughe sotto gli occhi. Persino la sua altezza era inferiore a quella che lui ricordava. La magnifica levigatezza della pelle, per cui un tempo sembrava gettar luce dalle braccia e dalle spalle, se ne era andata del tutto. Una donna che invecchiava; una triste, paziente donna composta, che chiede di sua figlia. Della loro figlia”.

Lewis ci permette di immedesimarci nel disorientamento di Menelao. La divina, abbagliante bellezza che lo aveva fatto innamorare è irrimediabilmente sfiorita: spade si sono incrociate e uomini sono morti in una guerra lunga dieci anni per una flaccida donna di mezz’età.

Giunto in Egitto con la sua flotta e con la moglie al seguito, Menelao riceve ospitalità da un anziano sapiente che esige i favori di Elena come ricompensa. Menelao si oppone alla richiesta, adducendo pretesti di ogni genere. “«Non me la rifiuterai certamente?» chiese il suo ospite sempre senza guardare Elena, ma Menelao con la coda dell’occhio. «La vuole davvero», pensò Menelao. Questo iniziò a farlo adirare. «Se non me la offri» disse l’Egiziano, con aria leggermente sprezzante, «magari la vuoi vendere?». Menelao sentì che la sua faccia arrossiva. Aveva trovato un motivo per la sua rabbia, adesso, e questo lo fece accalorare. L’uomo lo stava insultando. «Ti ho detto che la donna non si dona» disse. «E mille volte non si vende». Il vecchio […] continuò a sorridere. «Ah», disse alla fine, scandendolo a lungo, «devi avermelo detto. Magari è la tua vecchia balia oppure…». «È mia moglie» urlò Menelao. Le parole balzarono fuori dalla sua bocca, pesanti, infantili e ridicole; aveva deciso di non dirglielo affatto. I suoi occhi percorsero rapidi la stanza. Avrebbe ucciso chiunque avesse riso. Ma i volti di tutti gli Egiziani erano gravi, sebbene ognuno potesse vedere come lo stessero deridendo dentro di loro. I suoi stessi uomini abbassarono lo sguardo a terra. Si vergognavano di lui. «Straniero» disse il vecchio, «sei sicuro che quella donna sia tua moglie?». Menelao lanciò ad Elena uno sguardo deciso […]. L’occhiata fu così rapida che incrociò quella di lei e per la prima volta i loro occhi si incontrarono. E lei era cambiata davvero. Egli sorprese una parvenza di quella che sembrava, fra tutte le cose, essere gioia. In nome della Casa di Ade, perché? Passò in un istante; ritornata la solita desolazione”. Mi colpisce il lampo di gioia negli occhi di Elena, di fronte a questo riconoscimento impacciato e quasi estorto: “è mia moglie”. Nonostante tutto, nonostante non sia più lei, è mia moglie.

A questo punto (richiamando in parte la versione euripidea del mito) l’Egiziano rivela a Menelao che la vera Elena è stata rapita dagli dei. La donna portata a Troia e invecchiata negli anni non è che una copia; Elena è ancora bella e giovane come un tempo, e il vecchio la introduce alla presenza di Menelao. “«Figlia di Leda, vieni avanti» disse il vecchio. Ed ecco che venne. Dal buio dell’ingresso”. Qui si interrompe il racconto, di fronte alla scelta di Menelao tra la sposa giovane e bella che ricordava e la donna sformata e invecchiata che ha trovato a Troia.

Metto meglio a fuoco la questione in uno di quei pomeriggi casalinghi in cui capita di dover andare in bagno (ogni tanto anche alle madri succede) e nello spazio di pochi, brevissimi minuti il caos dilaga. “Mamma la Teresa ha spalmato la crema per le mani sulla tivùùùùùù. E sul divano. E per terraaaa!”. “Mamma la Terry sta scrivendo con un pennarello sul muuuuuuuuuuro!”

Questa volta però la faccenda è seria: “Noooooo! Ha scarabocchiato i piedi nel poster di Ronaaaaaaaldo!”. Il danno è fatto: al posto delle scarpe da calcio di CR7 ci sono due sgraziati ghirigori di un verde squillante. L’autrice del delitto sfida i suoi fratelli, il lampostil ancora tra le mani e l’espressione compunta: “Non si fanno gli scarocchi con il pennarello eh”. Se non le saltano addosso ci manca poco.

Nei giorni successivi, Riccardo e Agostino sospirano e si lamentano: quei piedi così conciati proprio non vanno giù. “Sono lì sotto mamma, si vedono ancora un po’… ci sono ma non si vedono bene, come facciamo a farli tornare fuori?”. Finché una sera Agostino, che si è rassegnato più velocemente, commenta che “con i piedi verdi è davvero un marziano adesso” (segue sguardo di compatimento per la mia crassa ignoranza calcistica quando gli tocca spiegarmi che “Marziano” è un soprannome del calciatore). Riccardo ci pensa un po’, poi ammette: “Mamma, ormai mi sono abituato ai piedi scarabocchiati, ci sono quasi affezionato. Pazienza, lo terremo così”.

Eccola, la cosa che mi ronzava nella testa.

La nostra vita scrive continuamente su di noi con garbo e delicatezza, o con malagrazia: segni ordinati e scarabocchi, che si susseguono strato dopo strato. Lo intuiamo nella giovinezza, quando il semplice sguardo degli altri – quella ragazza, quel professore, quell’amico – ha il potere di farci dubitare di noi stessi, di farci scoprire aspetti di noi che non conoscevamo, di ridisegnarci perfino. Ma lo riscopriamo con coscienza più lucida e forse dolente da adulti, ormai definiti da decisioni e situazioni che abbiamo voluto – o che la vita sembra aver scelto misteriosamente per noi. Dove sono quelle conquiste, quegli slanci, quei propositi che sembravano così veri, così parte di me? Dove sono io, in questa vita che continuamente mi costringe su sentieri inaspettati? Ci sono ancora, sotto gli scarabocchi?

La risposta arriva così, da un racconto interrotto e dalla rassegnazione consapevole di un bambino. Vicoli ciechi, sogni infranti, promesse di felicità ancora irrealizzate, talenti che non hanno potuto esprimersi, sorprese improvvise: tutto fa parte di quello che siamo ora. Non ci è concesso prenderne le distanze, come se non ci riguardasse: come se il nostro vero “io” fosse sempre da un’altra parte. Siamo una donna imbruttita, siamo i piedi scarabocchiati di Ronaldo. E che sorpresa scoprire anche quei segni come lineamenti del nostro volto: riconoscerci, non più noi eppure sempre più noi, negli occhi di chi abbiamo accanto (i figli, il marito, la moglie, gli amici). Misterioso potere dei nostri occhi di carne capaci di annunciare lo Sguardo eterno che ci osserva, che sa tutto di noi e della nostra vita, delle scelte e delle rinunce, delle ribellioni, degli slanci, delle possibilità irrealizzate: e che così ci ama.

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