Martiri, creatori di una storia nuova

Da testimoni come Crisanto e Daria la consapevolezza del dono della fede

Come preannunciato nell’edizione precedente del giornale, proponiamo ai lettori la trascrizione dell’omelia tenuta a braccio dal Vescovo nella cripta della Cattedrale in occasione della solennità dei santi Crisanto e Daria. Le sottolineature sono redazionali. Nelle immagini: un momento della Messa del 25 ottobre scorso e un’icona dei due martiri.

Cari fratelli e sorelle,
sentiamo oggi tante voci che dicono che la Chiesa sta finendo, sta morendo, dilaniata dalle sue tensioni interne e dagli scandali. Penso che oggi, nel giorno della festa dei SS. Crisanto e Daria, possiamo trovare una confutazione importante di questa impressione. Ci sono tante ragioni per dire che la Chiesa vivrà, forse anche fortificata proprio dal momento difficile che in questo periodo sta attraversando.
Una di queste ragioni è certamente la presenza dei martiri. Il nostro tempo è tempo dei martiri.

Siamo abituati a considerare il tempo dell’impero romano come tempo di persecuzioni e di martirio; siamo abituati anche a considerare il martirio della Chiesa dell’epoca moderna, quando un papa fu fatto prigioniero, un altro papa morì a in esilio in Francia.
Non consideriamo forse con sufficiente attenzione che, come è stato detto durante l’Anno Santo del 2000 in occasione della giornata dei martiri, anche a seguito di ricerche storiche approfondite, il secolo ventesimo è quello che in assoluto ha visto il maggior numero di martiri cristiani. Martiri cattolici, della Chiesa ortodossa, della Chiesa protestante ed anglicana.

Tutte queste testimonianze di martirio non sono un segno di morte, come vorrebbero i carnefici. Sono un segno di vita. Innanzitutto perché l’accettazione del martirio nasce da un profondo convincimento: che noi abbiamo ricevuto tutto da Cristo e che quindi tutto gli dobbiamo. Non è un convincimento facile da trovare, soprattutto in questa epoca di grande superficialità. Non è facile anche tra i cristiani credenti, che si dicono praticanti. Certamente essi considerano Cristo come un membro della loro famiglia, forse il più importante: ma quanti di noi sono esistenzialmente convinti e felici di avere ricevuto tutto da Cristo? Quanti di noi hanno consapevolezza che questo dono è il dono più importante della vita? Non c’eravamo, potevamo non esserci. E invece ci siamo e ci saremo sempre, per l’eternità. Tutto questo per la misericordia di Cristo. È un dono che non finisce mai, a differenza dei doni degli uomini.
Quanti di noi sono consapevoli del dono della fede, che è un dono immenso, senza del quale il dono della vita sarebbe una tragedia?

La fede infatti ci dà la consapevolezza del perché e del come della vita. La fede inoltre ci insegna ad attraversare le difficoltà e anche a portare il peso delle difficoltà. Perché alla luce della fede anche la sofferenza ha valore redentivo.

Continua a leggere le parole del Vescovo monsignor Massimo Camisasca su La Libertà del 7 novembre



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