Camminare con i giovani? Faticoso, ma vale la pena

Il documento preparatorio al Sinodo sui Giovani, nella sua terza parte, conclude il tutto con un capitolo dedicato all’azione pastorale che contiene indicazioni utili a trarre conseguenze concrete perché le nostre comunità siano capaci di convertirsi a modalità di maggior accoglienza nei confronti delle giovani generazioni. La domanda iniziale che ci si pone riguarda la Chiesa e come essa debba intendere l’accompagnamento dei giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo.
Si tratta innanzitutto di prendere sul serio la cosa. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di un’affermazione scontata, eppure troppo spesso mi scontro con un approccio semplicistico al mondo dei ragazzi, visti come “piccoli” dalla cui vita non c’è da imparare niente. Ascolto adulti che ridono, prendendo in giro, diversi modi di fare dei giovani, sviliscono le loro ricerche esagerate, i loro modi strani e imprevisti di affrontare le cose, che si pavoneggiano affermando sicuri: noi alla loro età non eravamo così!

Siamo di fronte alla prima conversione alla quale sono chiamate le nostre comunità: prendere sul serio la vita di tanti giovani che spesso consideriamo scomodi. Non parlo solo di quelli bravi che dicono sempre sì e girano nei nostri ambienti, ma di tutti quanti. Comprendo che non sia semplice, ma occorre farlo, prendere sul serio la vita a volta squinternata delle nuove generazioni. Anche quando passano un tempo incredibile davanti allo specchio nella ricerca di una bellezza che è molto più profonda di quanto sembra. Quando compiono gesti avventati per mettere alla prova una vita che non ancora funziona come vorrebbero. Quando esagerano o sbagliano nell’amare alla ricerca del senso di un dono profondo della vita agli altri. Quando faticano a uscire da una certa omologazione perché sentono importante l’essere accettati per quello che sono. Noi li guardiamo e non capiamo, a volto fraintendiamo; solo una corretta conversione ci metterà nelle condizioni di comprendere.

Per riuscire a farlo occorre “camminare con i giovani”: è il modo migliore per rendersi conto di come siano errate tante delle precomprensioni che abbiamo sul fenomeno giovanile. Chiede tanta umiltà: come adulti non è facile rivedere i nostri giudizi e accettare che tante volte abbiamo sbagliato, ma o si passa di qua o non si può andare avanti. Se non accogliamo, ad esempio, che hanno ritmi diversi dai nostri e quindi la smettiamo di definirli “pigri” non andremo da nessuna parte e tanto vale che ci fermiamo senza raccontarcela che volgiamo bene ai ragazzi e che sono importanti per le nostre comunità.

Continua a leggere tutto l’articolo di Paolo Tondelli su La Libertà del 20 giugno

 



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