Quando ero soldato

Non è il titolo di una canzone di Lucio Dalla che continuava: ..allora sì ch’era bella la vita, anche per me, ecc. ecc.’, ma lo spunto per dire due cose a proposito di Luigi Ghirri e che cosa c’entra il mio servizio militare con il fotografo di Scandiano lo vediamo subito. Era il 1979 ed io servivo la Patria presidiando il Presidio militare, perdonate il bisticcio, nella vicina Parma. A quel tempo la passione per la fotografia occupava già la maggior parte del mio tempo libero, tanto che in caserma la cosa era nota a tutti e capitò anche che venissi ingaggiato come fotografo ufficiale in una manifestazione che coinvolgeva l’esercito e le scolaresche della città. Proprio in quel periodo seppi che al Palazzo della Pilotta lo C.S.A.C., diretto da Arturo Carlo Quintavalle, aveva allestito una mostra su Ghirri e così ci passai alcuni pomeriggi di libera uscita.

Il sottoscritto in servizio militare, 1979

Non fu sicuramente amore a prima vista, come non lo è tuttora a distanza di tanti anni, l’unica cosa che mi piacque tanto di quella mostra fu il pannello gigante intitolato ‘∞ Infinito’ e composto da 365 (i giorni dell’anno) fotografie 10×15 circa del cielo. Il resto non riusciva ad appassionarmi, anche se mi resi conto di quanto fosse straordinariamente innovativa la sua ricerca rispetto ai fotografi che conoscevo.

Ghirri, ∞ Infinito, 1974

In tutti questi anni non ho mai smesso di studiare il suo lavoro e continuo a non amarlo, anche se resto dell’idea che il titolo di Caposcuola (la lettera maiuscola è d’obbligo) non sia inapproppriato.

Lo aveva già evidenziato allora Quintavalle nel testo di presentazione del bel catalogo della mostra: “Una prova del rilievo, non certamente solo nazionale, che l’operare di Ghirri viene assumendo per la nostra fotografia, nasce proprio dal peso che questa ha assunto e ancora più assumerà (come è vero questo n.d.r.) in futuro per la concreta ricerca; Ghirri ha già da tempo fotografi che lo seguono, Ghirri con la sua lingua, ha costruito aspetti precisi delle indagini di figure come…” E qui mi fermo, non vale la pena di fare i nomi che Quintavalle fece, ma sarebbe interessante che la ricerca la faceste voi.

Ispirarsi va bene e chi non lo ha fatto alzi la mano, ma copiare no, anche se, ad onor del vero, come in tutte le cose c’è chi lo fa bene e chi lo fa male.

Da quel lontano 1979 il nome di Luigi Ghirri è stato all’attenzione del panorama fotografico nazionale ed internazionale ma non solo, anche per noi fotografi reggiani è stato spesso argomento di discussione, ne parlavamo e c’era chi ne diceva peste e corna e chi al contrario lo portava in palmo di mano. Come dicevo più sopra io stavo con i primi, ma non per questo ho smesso di interessarmi al suo lavoro e di acquistare i suoi libri. La cosa è servita, infatti ora inizio a considerare diversamente il suo lavoro, anche se di amore vero e proprio non se ne parla ancora. Che stia tutto nella mia capacità di comprendonio? forse, oppure nel mio essere affascinato comunque e sempre dall’essere umano e quando vedo le sue fotografie questo si nasconde dietro mille dettagli, che rendono necessaria una analisi approfondita, che va al di là dell’immediata fruizione, quella che preferisco perché la ritengo più consona alla essenza vera e propria della fotografia.

Concludo, si parlava dei suoi libri ed in uno di questi – Il profilo delle nuvole, 1989, Feltrinelli – mi pare particolarmente evidente il fatto che lui abbia iniziato a guardarsi attorno con occhi nuovi e come sia facile trovare evidenti ‘attinenze’ (siamo gentili) con il lavoro di tanti altri fotografi, alcuni noti ed altri meno, per non dire sconosciuti ai più.

Ghirri, Comacchio, Argine Agosta, 1989

Mi rendo conto di quanto sia difficile, oggi, trovare nuovi linguaggi in fotografia, ma questi ci sono e gli esempi non mancano, basti pensare al lavoro di Michael Kenna, un autore molto in voga oggi, che ha guardato con occhi nuovi il paesaggio, dandogli una lettura molto poetica ed evocativa, anche se le sue atmosfere mi fanno pensare alla ricerca di una solitudine che sconfina, perdonatemi ma non posso fare a meno di pensarlo, con la misantropia.

Ma con quello che ci regala oggi l’umanità come si fa però a biasimarlo?

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