Splat#

Splat.
Splat, splat.
Non avrebbe mai voluto farlo, ma c’era costretto.
Quegli insetti piccoli e neri, con le zampette pelose e una macchia rossa sul dorso, stavano diventando un problema e lui era costretto ad eliminarli.
Li schiacciava con la suola delle scarpe con metodicità ma senza cattiveria, cosa che non cambiava il destino di quegli animaletti, ma che lo sollevava un po’ dal senso di colpa che provava: lui, proprio lui, che non aveva mai fatto male ad una mosca.
Splat, splat, splat.
Si era accorto della loro presenza già da un po’ di tempo, da quando la loro prima colonia si era insediata in un angolo del giardino cominciando a costruirsi la tana, un montarozzo di terra piccolo come una noce.
Ma non se n’era fatto un problema.

Si era fermato tante volte a guardarli lavorare: si davano da fare come dannati, entravano ed uscivano continuamente dalla tana, portavano dentro materiali di tutti i tipi e portavano fuori terra e detriti. Immaginava che all’interno ci fossero gallerie, appartamenti per le famiglie, scuole per i più piccoli, magazzini per il cibo: e ci fossero dei papà e delle mamme, dei nonni e delle nonne, dei servi e dei padroni, dei belli e dei brutti, dei buoni e dei cattivi. Era stato preso tante volte dal desiderio di scoperchiare la tana per vedere com’era fatta dentro, ma il suo rispetto per ogni forma di vita glielo aveva impedito.
È per questo che, ora che li doveva stanare distruggendo le loro abitazioni e schiacciandoli sotto la suola, provava un senso di pena.
Ma lo doveva fare perché dai pochi individui iniziali si era passati a migliaia di individui e le tane, da piccoli montarozzi, si erano trasformate in vere e proprie collinette che stavano colonizzando sempre di più il giardino, soffocando ogni altra forma di vita.

Leggi l’intero articolo di Franco Zanichelli su La Libertà del 14 marzo

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