Il terapista con la pelliccia

Alla fine del 1700 negli Stati Uniti fu affidato per la prima volta agli animali l’inedito ruolo di terapisti, durante la cura di pazienti neurologici. Solo nel 1961 però lo psichiatra infantile Levinson documentò casi di bambini che avevano ottenuto notevoli miglioramenti con questa nuova cura, molto gradita dai suoi piccoli pazienti.

La base è la relazione uomo-animale, ma non basta portare un animale in un istituto di cura o in una scuola per avere benefici e miglioramenti: la pet-therapy non è una terapia sostitutiva ma di accompagnamento e il pet-partner si inserisce in un gruppo di persone con competenze, conoscenze e professionalità diverse.

I campi di applicazione sono svariati: ospedali, residenze per anziani, scuole (es. per autismo e iperattività), comunità di recupero, carceri o altre situazioni di disagio sociale, nel settore della riabilitazione o in casi di disabilità.

Le attività terapeutiche non sono universalmente adattabili e non sono applicabili a tutte le persone ma, quando accettate, apportano un beneficio fisico ed emozionale molto valido. L’animale accende la motivazione ad interagire o a reagire in modo spontaneo; la spontaneità e il senso di sicurezza abbassano le tensioni e lo stress, favorendo uno stato di rilassamento e un miglioramento dell’umore; l’empatia e la stimolazione dei “neuroni specchio” aiutano a superare paure, nevrosi e deficit relazionali; gli stimoli fisici sono fondamentali nella riabilitazione motoria (ad es. l’allineamento dell’asse capo-tronco-bacino durante le sedute in sella  a un cavallo e il rilassamento degli arti inferiori).

I cani sono certamente gli animali più utilizzati, per versatilità, adattabilità e capacità di interagire con l’uomo. Il cane idoneo deve essere ben socializzato, tranquillo ed equilibrato: su queste basi si farà una preparazione specifica a seconda del compito che dovrà svolgere (cani per non vedenti, per non udenti, cani addestrati a riconoscere crisi epilettiche o ipoglicemiche in pazienti diabetici, soprattutto neonati, e dare l’allarme, sono alcune delle applicazioni).

Il benessere del cane co-therapist (nelle terapie per disabilità varie o per casi di disagio) è tutelato e regolamentato: non più di 4 giorni alla settimana, non più di 2 sedute al giorno di massimo 30 minuti e distanziate di almeno 2 ore, perché l’animale possa rilassarsi (in alcune situazioni lo stress da sopportare è intenso!).

Il monitoraggio sanitario è stretto: visite cliniche di routine, profilassi, trattamenti antiparassitari, accertamenti diagnostici.

Anche i cavalli devono rispondere a requisiti precisi: buon temperamento, anche in situazioni di stress, buono stato di salute a partire dagli appiombi, che devono garantire andature regolari per una corretta stimolazione propiocettiva e di adattamento al movimento in sella (è erroneo pensare che si tratti di cavalli anziani a fine carriera, riciclati da altre attività).

Molto interessanti sono gli esperimenti fatti in diversi centri di cura per malati di Alzheimer, con utilizzo sia di cani che di gatti. L’obiettivo è il potenziamento o il mantenimento di attività che gli anziani sono ancora in grado di svolgere, ad esempio le cure parentali (come l’allattamento di gattini o la spazzolatura) che tutti hanno sperimentato nel corso della loro vita da genitori o nonni. Non tutti i pazienti accettano la relazione con l’animale, che può anche essere fonte di disagio; ma nella maggior parte dei casi scaturiscono interesse e motivazione, anche per chi costretto su una sedia a rotelle o per chi impossibilitato a partecipare alle operazioni di accudimento materialmente: fare da spettatore crea comunque un momento di relazione molto piacevole.

La gestione dell’animale sostiene l’autostima, spesso ferita dalla consapevolezza dei propri deficit.

Ancora una volta un grande aiuto dalla natura, che ci affianca quando sappiamo coglierne le grandissime potenzialità!!!

Per commentare la rubrica scrivi a valeria.manfredini@laliberta.info 

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