L’universo come progetto

“Perché esiste qualcosa e non il nulla?”.
Questo si chiede ancora la Fisica dopo 3.000 anni di elaborazione teorica e 400 di verifica sperimentale delle ipotesi formulate. Siamo arrivati a conoscere la materia fino a particelle dell’ordine di un miliardesimo del raggio di un atomo e a scandagliare l’universo fino a una distanza di 47 miliardi di anni luce. Ogni passo avanti nella conoscenza del mondo apparentemente risolutivo ci apre invece nuovi orizzonti ancora più vasti e affascinanti.
Ma la domanda fondamentale rimane, come ai tempi degli astronomi Caldei, come al tempo di Platone. Qual è la risposta che danno oggi gli scienziati?

I nichilisti estremi (filosofi, non scienziati) potrebbero obiettare: “Perché, esiste forse qualcosa?”.
Altri glissano sul problema affermando che la domanda non ha senso perché precede qualsiasi evento osservabile; è così e basta.
Altri ancora ipotizzano una causa materiale esterna, un altro universo più grande, che in qualche modo ha prodotto il nostro. Ma questa opinione non fa che spostare il problema.
Altri infine, a partire dall’universalità e immutabilità delle leggi della fisica, si aprono all’ipotesi di un universo come progetto.
Il nodo sta nel fatto che concepire l’universo come progetto implica ammettere un’intelligenza creativa e questo fa a pugni con la posizione neoilluminista che presume di fare a meno di Dio. “È un’ipotesi di cui non ho avuto bisogno”, rispose Laplace a Napoleone che gliene chiedeva conto.

Ma basta guardare il cielo stellato in una notte serena che la domanda rispunta inalienabile nel cuore di tutti: “Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?”.
Il fisico italiano Lucio Rossi, capo del “Magnets, Cryostats and Superconductors Group” al CERN di Ginevra, con una parte importante nella verifica sperimentale dell’esistenza del bosone di Higgs, ha affermato in un’intervista a “La Nuova Bussola quotidiana”: “L’attività scientifica mi conferma nell’ipotesi positiva che la fede mi dà: lo slancio verso il Mistero di cui siamo costituiti è valorizzato dalla scienza e dalla sete di rispondere a alcune domande fondamentali”. “Per me”, continua Rossi, “ci vuole più fede a non credere che a credere”, anche se “la fede resta un atto di libertà e trovo meraviglioso che la scienza rispetti questa libertà”.

Leggi tutto l’articolo di Giuliano Romoli su La Libertà del 7 febbraio

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