Natale a casa Bordi

Il buio si è abbattuto sul 24 dicembre della famiglia Bordi simile a una ramazza polverosa: con un colpo secco come la tosse di Agata, sollevando nell’aria di fine giornata un pulviscolo di nebbia e smog. Di neve neanche l’ombra, mentre sulle strade del paesino si scivola per l’umidità ghiacciata e la notte fagocita i campi intorno alla tenuta.
Ogni anno la vigilia di Natale, nella casa riscaldata dal grande caminetto in pietra, è un po’ più affannosa di quella precedente. Ci sono gli acciacchi dei due vecchi, il lavoro che tiene i figli lontano dalla casa paterna fino all’ultimo momento, nessuno che dia una mano alla petulante Gemma, in mezzo alla cucina approvvigionata di vivande che basterebbero per sopravvivere qualche mese. Nella scarsità di tempo, l’unica cosa che abbonda sono i pacchetti regalo, depositati da tutti quelli che arrivano sotto l’abete sintetico, addobbato sempre alla stessa maniera. Da quando i figli sono cresciuti e diventati uomini e donne, l’ingombro dei doni, sul pavimento in cotto, si è ridimensionato: dove un tempo c’erano cavalli a dondolo e biciclette, o armamenti o paia di pattini o giochi di società in scatola, adesso si sprecano borsette, portafogli, gioielli.

Gli uomini si sono messi a sorseggiare un vino liquoroso in attesa del cenone. Stanno in piedi a guardare i campi quieti fuori dalla porta finestra del salone; il patriarca, Attilio Bordi, versa la bevanda in calici eleganti e li porge con un sorriso stropicciato prima ai mariti delle sue figlie, Vittorio, Andrea e Luca, poi al suo ragazzo di cinquant’anni, Pietro.
Sotto le feste Attilio sente aumentare il peso degli anni; la sera fa fatica a stare in piedi e spesso si assenta con la mente. È convinto che la fine si avvicini per lui, e sebbene non abbia conti in sospeso con il mondo e al suo fianco ci sia una moglie che ancora lo serve di tutto punto, non riesce a trascorrere gli ultimi Natali in modo sereno. C’è una punta di delusione, una preoccupazione tutta mondana. Anche se ha smesso di pregare da almeno vent’anni, da quando un incidente stradale gli ha portato via il suo quartogenito, gli viene da ripensare al contadino del vangelo che aveva accumulato beni su beni e poi, quando si disponeva a goderne, era tornato al Creatore. Meglio, non gli veniva nemmeno di disporsi a godere la sua fortuna, che pure non gli mancava.

Ma a ottantacinque anni compiuti, aveva rinunciato alla speranza che qualcuno dei figli si prendesse cura dei suoi terreni, e un piccolo ragioniere venuto dalla città, esercizio dopo esercizio, era riuscito a impadronirsi della gestione dei suoi possedimenti, sottraendogli gran parte del piacere di sporcarsi le mani tra le viti e il caseificio.
Dal giorno dell’incidente stradale era iniziata anche la strana tosse di Agata, sua moglie, magra e nervosa, molto più giovane di lui eppure così sciupata dalla vecchiaia. Somigliava a un tic, o forse lo era davvero, con cui scacciare i brutti pensieri come si fa con una fucilata in aria per far fuggire i lupi che ogni tanto scendono dalle colline. Solo che i ricordi dolorosi ritornavano velocemente ad affacciarsi sopra la sua fronte rugosa e allora ecco una nuova scossa alla voce, un altro rumore di sparo per allontanarli.
Mentre Attilio tenta di rabboccare di vino rosso scuro i bicchieri nelle mani di figli e generi, Leda, la figlia maggiore, si è messa a frizionare le spalle ossute della madre.

Leggi il testo integrale del racconto di Edoardo Tincani su La Libertà del 23 dicembre

Buon Natale dalla redazione de La Libertà

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