L’amore di Stanislao Farri per il Po

A Boretto, fino al 30 settembre, la sua mostra fotografica

È stata inaugurata il 2 settembre a Boretto, nei locali della Bottega del Tempo libero, la mostra fotografica di Stanislao Farri “Boretto e il Grande Fiume”, aperta fino a fine mese. Alla presentazione sono intervenuti Attilio Benassi, presidente della Botttega, Massimo Gazza, sindaco di Boretto, e il critico Sandro Parmiggiani, storico dell’arte, che ha anche curato il catalogo. Il volume, edito dalle Grafiche Step di Parma, è il frutto di una ricerca ininterrotta del fotografo reggiano che va dal 1949 al 2017. La cosa che più ha colpito i tanti presenti è stata, senza alcun dubbio, la grande passione di Farri per il lungo fiume, quasi ci fosse una voce che lo chiamava lungo le sue sponde. Negli anni del dopoguerra inforcava la bicicletta presto al mattino per cogliere le prime luci sull’acqua e successivamente lo raggiungeva con il treno, proprio quello stesso, immortalato nei film di Guareschi, che portava don Camillo alla vicina Brescello. Con l’inizio dell’attività professionale dovette dire addio a quelle lunghe gite spensierate, ma appena il lavoro glielo permetteva la domenica la passava a fotografare gli artigiani che operavano sulle barche tirate in secca o i giochi di luce sulle cave di ghiaia e di sabbia.

La sua ricerca non si ferma alla bella stagione: Farri arriva a Boretto anche con la nebbia o la neve, quando il largo fiume e tutto ciò che gli sta attorno sembrano fermarsi per prendere respiro, oppure quando la brina ricopre gli oggetti e li fa riapparire come brillanti sculture. Ci va anche quando il fiume fa paura, quando con violenza esce dagli argini e va ad occupare gli spazi che gli sono stati tolti, come a voler insegnare che le catene ad un fiume si fa fatica a metterle. Fissa sulle sue pellicole i momenti felici, quando lungo le sponde del Po di Boretto c’erano le cabine e gli ombrelloni, per dare un po’ di ristoro a quelli che in riviera non ci potevano andare. Fotografa i pescatori: non quelli che oggi arrivano dall’Est armati di tutto punto in cerca dei pesci siluro, ma i pescatori che con pazienza e un piccolo bilancino si accontentavano di portare a casa la cena o poco di più.

Continua a leggere il testo integrale dell’articolo di Giuseppe Maria Codazzi su La Libertà del 16 settembre