Quel fuoco nei Servi della Chiesa

Don Dino: ritratto a più voci attorno al libro di Pini

Un dopocena d’estate, intorno a un tavolo, alcuni Servi della Chiesa parlano del loro fondatore, monsignor Torreggiani, stimolati dal libro appena pubblicato da don Mario Pini (“Don Dino… lo ricordo così”, E.Lui editore, 712 pagine, 25 euro). Se la nuova opera è già stata presentata su La Libertà del 19 agosto con l’intervista all’autore, qui vogliamo soffermarci proprio su quell’incontro, che ha avuto luogo nel Centro diocesano di spiritualità di Marola la sera del 29 luglio scorso, per tentare un ritratto più comunitario del Servo di Dio don Dino, mentre si avvicina il suo 112° anniversario di nascita (Masone, 8 settembre 1905) e non è lontano il suo 34° di morte (avvenuta a Palencia, in Spagna, il 27 settembre 1983).

Uomo inquieto, don Dino, amico dei carcerati e apostolo dei nomadi, votato con generosità al “sacramento dei poveri” e severo giudice di se stesso, in una pratica assidua dei consigli evangelici, per cui il sacerdote considerava la santità come la condizione normale per la vita della Chiesa.
Forse la parola più sintetica su di lui l’ha detta don Stefano Torelli, l’attuale responsabile generale dell’Istituto, affermando che “il fuoco dello Spirito e del servizio non ha lasciato in pace don Dino e don Dino non ha lasciato in pace tanti: sacerdoti, vescovi, laici”.
Quel fuoco – ha aggiunto don Torelli – va tenuto vivo, continuando a mettervi la buona legna delle esperienze pastorali dei Servi della Chiesa sparsi per il mondo, e non c’è dubbio che ad alimentarlo contribuisca anche la testimonianza scritta da don Pini sui suoi quarant’anni di assidua frequentazione del fondatore.

Due episodi accidentali ed emotivamente dirompenti furono all’origine della storia vocazionale di don Torreggiani. Il primo, l’11 giugno 1914, è un fatto di sangue: a San Bartolomeo alcuni parenti materni, coltivatori del beneficio parrocchiale, uccisero il parroco in un alterco. La madre impose la mano sul capo del piccolo Dino e gli disse: “Tu prenderai il suo posto, sarai sacerdote!”. Don Piergiorgio Saviola, nel suo intervento, ha ripercorso l’altro evento significativo, accaduto quando Torreggiani era già prete da tre anni: fu la chiamata ad assistere spiritualmente una zingara moribonda il bivio da cui si dipartì la battaglia di don Dino a favore di nomadi, circensi e giostrai. Un mondo multirazziale e pluriconfessionale, ha ricordato don Saviola, che don Dino ha saputo riunire sotto lo chapiteau (tendone), raccomandando con insistenza alle gerarchie ecclesiastiche di fare propria questa speciale attenzione pastorale. Ciò che prese corpo con la creazione, nel 1958, dell’Oasni (Opera per l’Assistenza Spirituale ai Nomadi in Italia), di cui don Torreggiani fu primo direttore. In seguito l’Opera fu assorbita dalla Fondazione Migrantes della Cei, ma si deve a don Dino se le vicende e la religiosità degli zingari nel nostro Paese hanno potuto essere portate alla luce e valorizzate.

 

Continua a leggere tutto l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 2 settembre



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