Vita della beata Giovanna Scopelli

Nascita e vita in famiglia
La tradizione ritiene che la beata Giovanna Scopelli nascesse nel 1428, avvalorata dall’affermazione scritta sulla sua tomba, che morisse nel 1491 di 63 anni. Essa viene battezzata domenica il 2 agosto 1439. I suoi genitori sono Simone Scopelli, macellaio, e Caterina de Oleo. Viene chiamata Giovanna come la nonna paterna. Era la decima di dodici figli. è stata particolarmente amata dai genitori, perché era la quarta figlia di nome Giovanna, dopo che le tre precedenti erano morte in tenera età. I genitori profondamente cristiani le infondono la pietà nei confronti di Dio e del prossimo. La sua vocazione religiosa si manifestava già a cinque anni. La grazia divina sovrabbondava e la giovanissima Giovanna la rafforzava coi digiuni, le penitenze e i cilici di contrizione.

Il primo miracolo
Giovanna desiderava passare alla vita del chiostro, ma la famiglia si opponeva. I genitori volevano maritare le figlie rimaste. Giovanna era la quarta. La beata era anche ostacolata da due sorelle più grandi nel suo desiderio di darsi al Signore. Allora invocò il Suo aiuto per maritarle. Due nobili signori da fuori Reggio mandavano i parenti a chiederle in sposa, senza averle mai conosciute. I genitori erano stupiti. Giovanna, che sapeva come fossero venuti grazie alle sue preghiere, li convinceva affermando essere questa la volontà divina. Ma essi volevano far sposare anche Giovanna, che, libera dalla soggezione delle sorelle, aveva fatto voto di castità e si era consacrata all’amore di Gesù.

Incisione-beata-Giovanna-Scopelli-EX-VOTO

Vestizione della beata e morte dei genitori
La vergine Giovanna si vestiva dell’abito carmelitano con un ispido cilicio tenuto fino alla morte e con una catena di ferro tutta attorno al corpo. Ma l’opposizione dei genitori era forte, fino a che improvvisamente morivano entrambi. La beata usciva subito dalla casa paterna rinunciando ad ogni eredità e con la sola sua rozza veste e un Crocifisso andava ad abitare in casa di una povera donna. Aveva il grande desiderio di fondare un convento carmelitano, ma la donna stessa con cui viveva la derideva, facendole notare quanto essa fosse povera. Giovanna rispondeva dicendo di tenere un tesoro nascosto, il Bene del Crocifisso, che la rendeva la più ricca di tutte le donne.

Fondazione del convento dopo molte prove
La preghiera di Giovanna di fondare un convento carmelitano femminile doveva essere presto esaudita. L’umile suo cuore l’aveva attirata fin da bambina verso una chiesa dedicata a San Bernardo, con un piccolo orto e una casa appartenente ai Frati Umiliati o Umili. Essa si trovava in via Campo Marzio, in luogo appartato. Aveva pregato per avere un segno divino di approvazione alla sua scelta di farne il nuovo Convento carmelitano. Le era apparso san Bernardo che l’aveva incoraggiata. Su richiesta di monsignor Filippo Zoboli di Reggio, abate di San Prospero fuori le mura, il padre Jacopo Terzi Landriano, prefetto dell’Ordine, otteneva dal papa Innocenzo VIII il permesso di vendere il luogo alla Scopelli. Monsignor Zoboli faceva da garante. Era il 1481.

Ma nella vita della Scopelli dopo la grazia arriva la prova. Una donna, che vantava di aver ricevuto la promessa d’acquisto della chiesa di San Bernardo prima della Scopelli, convinceva il prevosto della Chiesa dell’impossibilità di suor Giovanna di onorare il contratto.

La dolcezza, la costanza e l’umiltà della Scopelli vincevano le resistenze del prevosto, che voleva rompere il contratto con la beata. La donna però insistette e persuase ancora una volta il prevosto a romperlo. Egli, pieno d’astio, andò dalla beata, deciso a cacciarla dalla nuova casa. Ma essa con parole ancora più dolci riuscì a convincere per sempre il prevosto dei suoi diritti e della certezza che Dio l’avrebbe aiutata. La prova fu lunga perché il possesso del convento sarà registrato nel 1486.

Il monastero delle Monache Bianche
Il Convento fu intitolato a Santa Maria del Popolo, perché era stato costruito con le offerte dei reggiani e a loro apparteneva. Tra i benefattori spicca Cristoforo Zoboli fratello di monsignor Filippo. Esso fu chiamato anche il Monastero delle Suore Bianche, per onorare la purezza, che il bianco del Manto carmelitano voleva richiamare, di Vergini Spose del Signore. La prova della disperazione accompagnò la costruzione del Monastero, attraverso le critiche di chi non credeva che il Monastero sarebbe stato completato. Si diceva che fosse inutile, perché Giovanna si sarebbe potuta chiudere in un monastero già esistente. Gli attacchi permettevano alla beata di mostrare le sue doti di umiltà e dolcezza.
La sua costanza faceva risaltare la sua fede incrollabile nell’aiuto del Signore. A Reggio faceva scalpore la straordinaria forza della Scopelli nel resistere ai continui attacchi di chi non credeva che una donna potesse fare tanto. Essa mostrava quanto l’umile dolcezza femminile fosse necessaria per migliorare il mondo.

Scoramenti mistici e prima incoronazione
Nel frattempo una buona vedova, Isabetta Castelli, madre di due sagge e devote figliole, Antonia e Taddea, la chiamava a sé e si offriva di accoglierla nella sua casa della parrocchia di San Pietro, dove, assieme alle due figlie, avrebbero servito il Signore. In più metteva le sue sostanze a disposizione per la costruzione del sospirato convento. La Scopelli nel 1482 otteneva il permesso di trasformare la casa in convento e di viverci assieme alle sue benefattrici, che volevano farsi suore, e ad altre tre suore, secondo la regola carmelitana. 
Essa ne era la priora.
Reggio Emilia riceveva grande consolazione dal monastero femminile e le vocazioni aumentavano. Tutto sembrava seguire un preciso disegno divino.
Ma suor Giovanna doveva subire la prova della tentazione per dimostrare di condividerlo fino in fondo. Essa veniva assalita da violenti scrupoli che la facevano continuamente disperare della salvezza. Resisteva attraverso la preghiera, il pianto e gli sfoghi del cuore, ma soffriva molto.
Finalmente sentì dirsi di non temere le insidie del demonio e le sembrò di essere incoronata di luce.

Conversione d’un eretico e seconda incoronazione
Ricorrevano a lei i più tribolati, e tra questi una donna, che aveva un figlio di nome Agostino. Egli aveva abbracciato l’eresia manichea, che nega la natura umana di Gesù. Giovanna cercò di persuadere Agostino mostrandogli la bellezza del Paradiso, per accedere al quale occorreva la conversione, e l’orrore dell’inferno, in cui sarebbe caduto se fosse rimasto nell’eresia.
Digiunò, pianse, afflisse sé medesima e finalmente ottenne la grazia.
Ma ecco che di nuovo era tentata dalla disperazione di salvarsi. La generosa Giovanni con la stessa umiltà usata per la conversione di Agostino vinse anche il demonio. Di nuovo le appariva Gesù nella gloria, splendente di luce, tra le schiere angeliche, che la circondarono. Egli le disse di non temere e di continuare nelle opere buone. Per la seconda volta la incoronava di una preziosa corona.

I doni della beata, le prove del demonio
Suor Giovanna guidò fino alla morte il Convento. Essa era dotata del dono della profezia e dei miracoli, guarendo gli infermi, liberando gli oppressi e predicendo la vita e la morte: ad una donna sterile un figlio maschio. Stava spesso in estasi anche per otto ore continue.
Nella notte di Natale contemplò la vista di Gesù bambino tra le braccia di Maria. Lo vide per Pasqua gloriosamente risorto. Ma era maltrattata dal demonio, che spesso le balzava addosso per soffocarla, la picchiava e una volta la fece cadere dalle scale.

Spirava il 9 luglio 1491, chi dice a 63 anni, chi a 52, anche in questo contrastata dal demonio. Prima della morte le appariva un’ultima volta Gesù giovanetto, vestito di bianco come la beata, che l’incoronava con un fascio di rose che teneva in mano.
Quest’apparizione la indusse a salutare le suore con un lungo e commovente addio. Esso finiva invitandole ad osservare i voti, ad amare Gesù e a stare unite nel vincolo della carità per godere anche in terra la pace del Paradiso.

Pregando la «Camicia» della Gloriosa Vergine
La preghiera della beata era di contemplazione. Essa vedeva le perfezioni divine e la propria miseria. Accompagnava la contemplazione col digiuno per sottomettere meglio il corpo. Pregava cinque ore al giorno sia di giorno che di notte.
Aveva una grande devozione per la Madonna, alla quale rivolgeva quindicimila Ave Maria, e ogni cento una Salve Regina, e dopo diceva per sette volte Ave maris stella e altrettante O Gloriosa Domina.
La beata chiamava questa devozione la Camicia della Gloriosissima Vergine Maria, convinta che essa fosse gradita e vicina a Maria Vergine come la sua veste.

La beatificazione di suor Giovanna
Il primo processo di beatificazione a suor Giovanna Scopelli fu fatto nel 1500-1501, perché il corpo fu trovato incorrotto come se fosse appena spirata ed emanava un soave profumo. Tre suore toccandola guarirono.
Nel 1771 il nuovo processo canonico riconosceva l’eroicità delle virtù e la verità dei miracoli della beata Giovanna Scopelli, ottenuti dopo la sua morte, ed essa veniva inserita nel “Canone dei Beati”.
Nella cappella a destra dell’altare maggiore del Duomo di Reggio, per chi guarda, a lato dell’altare con il corpo della beata, dominato dalla Madonna del Pilastro, si trova il quadro del Vercellesi che rappresenta il dissotterramento del suo corpo incorrotto.
La festa della Scopelli era molto solenne e veniva annunciata molti giorni prima con le campane e il giorno prima con le trombe.

Daniele Rivolti

 

 



Leggi altri articoli di Chiesa