Nietzsche e l’esaltazione della tragedia

All’origine de La nascita della tragedia di Friedrich Nietzsche ci sono due grandi filosofi e un grande artista.
Il primo filosofo è Platone che aveva condannato il teatro e che è il vero avversario da combattere. Il secondo filosofo è Arthur Schopenhauer, l’autore de Il mondo come volontà e come rappresentazione, il quale – nella sezione dedicata alla liberazione estetica e alle arti – aveva posto la tragedia nella posizione più alta rispetto alle altre forme di poesia e aveva posto la musica più in alto rispetto alle altre forme d’arte. La musica, infatti, secondo Schopenhauer, non descrive le cose, ma il nocciolo oscuro delle cose; cioè l’irrazionale volontà che è la vera essenza dell’uomo e del mondo. La sua filosofia costituisce lo sfondo dell’opera nietzscheana.

L’artista – peraltro, a sua volta, influenzato da Schopenhauer – è Richard Wagner. All’epoca in cui Nietzsche scrive La nascita della tragedia, Wagner aveva realizzato, per citare solo le opere maggiori, L’anello del Nibelungo, I Maestri Cantori di Norimberga e Tristano e Isotta, quest’ultima opera particolarmente amata da Nietzsche.
Wagner sembrava in grado di realizzare ciò che aveva teorizzato: l’opera d’arte totale, un’opera cioè che riunisse in un insieme ciò che in genere era separato o forzatamente accostato: musica, poesia e danza.
C’è da aggiungere che Nietzsche conosceva personalmente Wagner, ne frequentava la casa a Tribschen e faceva parte della cerchia degli amici più stretti. Ciò almeno durante la gestazione e la pubblicazione del suo libro. Poi le cose cambiarono, come vedremo più avanti.

Apollineo e dionisiaco
Possiamo incominciare con un mito greco riproposto da Nietzsche in La nascita della tragedia (1872).
Il re Mida cattura, dopo lungo inseguimento, il satiro Sileno, compagno del dio Pan, poiché vuole conoscere, da lui che sa “le cose segrete”, qual è “la sorte migliore per l’uomo”. Furibondo per essere stato catturato, Sileno dà una sentenza terribile: per l’uomo, dice, sarebbe meglio non venire alla luce, morire nel grembo materno, ma, una volta gettato nella esistenza, la cosa migliore è rientrare, ancora giovane, nel nulla. (Le stesse parole si ritrovano nell’Edipo a Colono di Sofocle.)
Il mito rivela, secondo Nietzsche, la cupa consapevolezza che l’uomo greco ha della condizione umana, che ha inizio col dolore della nascita e ha fine nel baratro della morte. Questa consapevolezza è talmente forte che sarebbe inconciliabile con l’esistenza se, in soccorso all’uomo, non giungessero due divinità “portatrici di doni”: la prima divinità è Apollo che dona la scultura e la poesia cioè il sogno e la bellezza fatti arte; la seconda divinità è Dioniso che dona la musica e la danza cioè l’ebrezza fatta arte, l’eco di una possibile “riconciliazione” con la natura.

Continua a leggere il testo completo del saggio di Antonio Petrucci su La Libertà del 13 maggio

Portrait_of_Friedrich_Nietzsche