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C’è chi dice che siano la nuova letteratura, c’è chi dice che siano solo la moda del momento e c’è chi le considera un modo abbastanza sano per passarsi il tempo, ma soprattutto una buona scusa per rimandare cose da fare.

“Dovrei fare quella cosa che mi ero ripromessa…ok, prima però guardo un episodio di Scrubs, SOLO UNO!” *

Le serie tv sono ormai il tormentone del momento, moda o passione solo il tempo deciderà per ognuno..quel che è vero per tutti è che ne sono disponibili a decine e in un modo del tutto nuovo. Con l’arrivo di piattaforme come Netflix le serie TV diventano in realtà serie PC, le guardi da ogni dispositivo, senza pubblicità e senza aspettare quella interminabile settimana tra un episodio e l’altro.Una delle ultime creazioni proprio di casa Netflix è 13 (titolo italiano per “13 reasons why”, letteralmente “13 motivi perché..”) serie tv che parla della vita di adolescenti americani.

Quando mi è stata consigliata e ho sentito le parole “adolescenti americani” abbinate a “serie tv” ho sentito risuonare nella mia mente “ANOUANAUEIIIII”, l’indecifrabile parola della sigla che apriva Dawson’s Creek, telefilm concentrato di paturnie adolescenziali e vestiti improponibili.

Un’altra serie tv su adolescenti nei licei americani?

Già vedevo le interminabili file di armadietti, l’infinita disfida popolari-nerd, cheerleaders, giocatori di football, prof e genitori fuori dal mondo, presidi tonti, zainetti ascellari, belle ragazze che all’improvviso si accorgono dei più -usando il linguaggio specifico- sfigati della scuola, storie di amori adolescenziali altamente improbabili, feste nelle case con un tripudio di bicchieri rossi e bevande non ben identificate, il ballo di fine anno, il patema pre e post ballo…insomma, le solite cose che si vedono in TUTTI i film e telefilm-con-liceali-americani che hanno accompagnato diverse generazioni. Immagino sia stato così per Beverly Hills (ero troppo occupata a giocare) o per Gossip Girl (ero troppo occupata a studiare), ma posso garantire per Dawson’s Creek e The OC (“Califoorniaaaaaaaaaa”).

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È così in effetti anche per 13 reasons why e viene quindi da iniziare a considerare seriamente l’idea che le scuole americane siano davvero così, dato che continuano ad essere rappresentate sempre nello stesso modo che per noi risulta essere “un’americanata” ma che in fin dei conti costituisce probabilmente l’esperienza media nelle high school. (E allora evviva la scuola italiana!!)

La differenza enorme tra 13 e le altre serie citate è che se un giorno, a 27 anni, doveste fermarvi a (ri)guardare un episodio di The OC o Dawson’s Creek oltre ad un velo di nostalgia per i bei tempi andati sicuramente sorgerebbe un senso di sgomento nell’aver dedicato così tanto tempo ed energie della propria vita a storie così improbabili e/o mortalmente banali.

Invece, guardare 13 reasons why a 27 anni è stato un ottimo investimento di tempo. E penso lo sia anche e soprattutto per i ragazzi che frequentano le superiori e per chi ha in qualche modo a che fare con loro. (Prof, educatori, genitori, sacerdoti, allenatori…)

La prima caratteristica con cui descriverei 13 è che Realistica: tratta di cose che fanno veramente parte della vita di tanti ragazzi, dall’America all’Europa, non solo liceali ma anche universitari e più grandi.

Non è basata su fatti e contesti eclatanti (per quanto uno si impegnasse, come faceva ad identificarsi con le famiglie ricchissime di OC?) ma su episodi quanto meno probabili della vita di tante persone. Molte dinamiche che vengono proposte fanno davvero parte della quotidianità di tanti ragazzi, dal rapporto con i genitori al rapporto con lo smartphone.

È inoltre una storia Drammatica: è la storia di Hannah Baker, una ragazza non particolarmente popolare ma neanche particolarmente sfigata che decide di uccidersi. Invece di lasciare un sintetico bigliettino, per spiegare il suo gesto registra 13 audiocassette che vengono consegnate ai 13 relativi destinatari dove spiega i 13 motivi della sua scelta.

Non c’è nessuno spoiler in tutto ciò, questo è quello che si sa dai primi tre minuti del primo episodio. Si parte sapendo che comunque vada, Hannah è morta. I flashback dai colori caldi che vengono proposti nel corso degli episodi non lasciano spazio alla speranza di un happy ending: comunque vada sarà un disastro.

La vita di Hannah si intreccia con le vite dei suoi coetanei, ognuno alle prese con situazioni difficili, scheletri nell’armadio, difficoltà nell’essere accettati da altri, ricerca di una propria identità e soprattutto paura. Tanta tanta umana paura di esporsi per qualcuno, di perdere la stima di altre persone, di prendersi la responsabilità delle proprie azioni, di perdere follower, di perdere la considerazione dei genitori, paura di affrontare la realtà, paura di non farcela, paura di essere soli e, in definitiva, paura di soffrire.

Ogni personaggio è mosso da (almeno) una di queste paure e le conseguenze delle azioni di ciascuno porteranno a un logoramento della fiducia che Hannah ha nella bellezza della vita e in tutto quello che la rende degna di essere vissuta. Alla fine, anche per lei, sarà la paura di soffrire ancora che le farà scegliere la morte.

13 reasons why è infine una serie Imperdibile: oltre ad essere drammaticamente realistica è bene sottolineare come sia prima di tutto una bella serie tv. È importante che sia fatta così bene perché aiuta a rendere più credibile il “prodotto” finale e più incisivo il suo messaggio. È significativo anche che sia una serie tv e non un film. Per  guardarla tutta bisogna fare i conti con la vita di Hannah per almeno 13 ore e non un’ora e mezza: i personaggi e le loro storie sono sviluppate meglio e permettono via via di immedesimarsi con sempre più empatia.

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Un esempio?

A molti adolescenti sarà capitato di divulgare foto di ragazzi o ragazze in situazioni riservate o imbarazzanti, a molti di più sarà capitato di ricevere queste foto. Quante ragazze sono state immortalate, per scherzo o per cattiveria, in certi pose intime poi diffuse a macchia d’olio portandole ad essere ricoperte di epiteti così gravi e in così grande quantità da dove cambiare scuola o rimanere a casa per alcuni mesi a causa della troppa vergogna?

Quanti ragazzi invece presenti nella stessa foto si sono vantati con i compagni di classe per la bella prestazione e la gloria derivante dal grande pubblico che nel frattempo si è venuto a creare?

Io stessa sono a conoscenza di almeno due casi del genere.

Sono cose reali, che succedono frequentemente, che creano catene di discredito e gossip crudele  che spesso le parole dei prof, dei genitori, degli educatori o degli esperti che fanno conferenze sul cyberbullismo (perché questo è) non riescono a spezzare. Condividere una foto o un video su whatsapp è un gesto semplicissimo che richiede solo qualche secondo; la foto e la nostra condivisione è quello che noi vediamo. Quante volte però ci perdiamo il pezzo di quello che passano le persone presenti nella foto dopo la nostra virale condivisione.

Su questo aspetto 13 reasons why non si tira indietro e tutta la vicenda di Hannah Baker è un voler proporre allo spettatore, senza sconti, le conseguenze delle azioni degli altri 13 protagonisti.. che assomigliano molto alle nostre azioni e alle nostre scelte quando agiamo guidati dalla paura e dall’egoismo.

È come se dicesse “Tu non vuoi vedere quello che succede quando ti comporti da stronzo e egoista? Bè te lo mostro io!”

Nessuno dei 13 destinatari delle audiocassette ha concretamente ucciso Hannah Baker, ma tutti l’hanno mortalmente ferita con la propria indifferenza e il voler pensare solo alla propria salvezza nel mare tempestoso dell’adolescenza.

13 reasons why parla ai ragazzi, con il linguaggio dei ragazzi, a proposito delle vite dei ragazzi, insegnando senza tirate moralistiche cosa è necessario fare e non fare per imparare a diventare grandi.

Servono veramente altri motivi per guardarla e consigliarla ai ragazzi? Nel caso, ne ho almeno altri 13.

*è scientificamente provato che è impossibile guardare un solo episodio di Scrubs

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