Davanti al Mistero: paura o fiducia?

L’appassionata testimonianza di don Vincent Nagle

Era un hippy, quando il vescovo Massimo l’ha conosciuto negli States, più di trent’anni fa. Poi, dopo la conversione al cristianesimo, il suo ingresso nella Fraternità San Carlo e un cammino che lo ha portato a studiare l’arabo, a essere sacerdote vicino al Massachusetts, poi in Palestina. E da tre anni don Vincent Nagle, inconfondibile accento californiano e tasso di carica umana prossimo al 100%, è cappellano presso la Fondazione Maddalena Grassi di Milano, che accoglie persone affette da patologie fisiche, psichiatriche e neurologiche gravi e non guaribili. Ma curabili sì, sempre.
Ed è questo, in fondo, il senso della testimonianza “Sulle frontiere dell’umano. Un prete tra i malati”, che l’ospite del Vescovo rende la sera di giovedì 9 marzo in un’Aula magna del Seminario letteralmente stipata, con numerosi giovani nell’uditorio che si allunga fino all’atrio con una catena di sedie aggiunte all’ultimo minuto.

Don Vincent fa una breve introduzione per inquadrare la storia della Fondazione, nata 26 anni fa dal volontariato di personale sanitario che condivideva un’esperienza di amicizia cristiana e ha voluto col suo impegno soccorrere le famiglie alle prese con l’onerosa assistenza di malati di Aids, pazienti oncologici in stato terminale e altre forme di esistenza sofferente che la cultura contemporanea, con etichette varie, tende a spacciare per vite “meno degne” di essere vissute.

Continua a leggere tutto l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 18 marzo

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