Elogio dell’ignoranza

Il termine “ignorante” viene percepito da tanti come un’offesa, pur denotando nel suo significato semplicemente una carenza/assenza di conoscenza di qualcosa. Non ci sarebbe dunque niente di grave o di irreparabile. Peggio sarebbe dare a qualcuno dello “scemo”, che indicherebbe l’incapacità di comprendere qualcosa.
Ma la “non conoscenza”, il non sapere, condiziona in maniera tangibile e forte la personalità, il comportamento, le scelte, le decisioni di ogni persona. Ne è sempre stato cosciente il sistema legislativo italiano, ad esempio, esprimendo il principio secondo il quale “La Legge non ammette ignoranza”.
E noi, ben al di fuori del sistema giuridico (dove già siamo stati avvertiti circa le conseguenze dell’ignoranza di una legge), quanta ignoranza ammettiamo? Che grado di ignoranza reputiamo “accettabile” o “nella media” o ancora “in linea con i tempi che corrono?” Sembra essere diffusa e popolare, simpatica e divertente, facile da cucirsela addosso, come un tatuaggio, da esibire e mostrare andandone addirittura orgogliosi: “Io parlo come mangio!”.

Si è ignoranti a scuola, dopo la scuola, nel tempo libero, spesso anche sul posto di lavoro, dove l’ignoranza è anche usata per scaricare la responsabilità delle proprie azioni e dei propri errori, appellandosi in caso di difficoltà al retorico “non lo sapevo…!”.
La sapienza libraria e quella popolare hanno sempre espresso unanimi che madre ignoranza è sempre gravida, e partorisce ogni genere di paura e superstizione. Ma sembra che oggigiorno lo abbiamo dimenticato. Eppure la sensazione di sentirsi mancare il terreno sotto ai piedi, i battiti del cuore che accelerano quando apriamo una delle tante lettere che ci spediscono banche, enti e scorgiamo numeri strani e frasi formulate in un linguaggio complesso, non certo nella lingua “che mi ha insegnato mia madre”, si impossessa di noi, che non sappiamo stabilire se siamo nei guai, di cosa esattamente si tratti, se dobbiamo pagare… che cosa dobbiamo fare.

Leggi tutto l’articolo di Mario Colletti su La Libertà del 4 marzo

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