Omelia nella Solennità dell’Epifania

Pubblichiamo l’omelia nella Solennità dell’Epifania (Festa dei popoli)

Cattedrale di Reggio Emilia, 6 gennaio 2017

 

Cari fratelli e sorelle,

sappiamo che all’inizio della vita della Chiesa le festività del Natale e dell’Epifania coincidevano in un’unica giornata. Prima si afferma la festa dell’Epifania e poi la Chiesa sentirà la necessità di contemplare, in una data a parte, il giorno della nascita del Signore. Come si spiega questa precedenza dell’Epifania sul Natale? Essa trova la sua ragione nel fatto che alla Chiesa interessava affermare innanzitutto l’universalità della salvezza, ottenuta agli uomini attraverso la nascita di Gesù.

Potremmo dire che ciò che sta al centro di questa festa è l’universalità della vocazione dei popoli. È l’immagine stupenda che ci presenta la lettura del capitolo sessantesimo di Isaia (cfr. Is 60, 1-6). Il mondo è avvolto dalle tenebre. Sembra il racconto delle vicende di guerra, di odio e di distruzione che caratterizzano il nostro tempo. Eppure dentro le tenebre c’è una luce. È la luce del Signore, Luce dei popoli, che attrae a sé tutte le genti. Ogni popolo è invitato a camminare verso Gerusalemme. Il profeta Isaia ci parla di questa migrazione di popoli che vengono da lontano. I vecchi camminano con fatica e i bambini sono portati in braccio. Gerusalemme, identificata dal profeta con una persona, si rallegrerà di questo concorso di popoli perché la città sarà arricchita da tutte le storie, le culture, le lingue, le ricchezze di ogni gente.

Questa visione del profeta ci invita ad uno sguardo sulla realtà di oggi. Anche al nostro tempo c’è una migrazione di popoli. Essi però, a differenza di quelli di cui parla Isaia, sono soprattuto spinti dalla necessità di lasciare la loro terra per non morire di fame o essere uccisi dalle rivalità politiche ed etniche. Ciò che li spinge è un istinto di sopravvivenza, talvolta il desiderio di ricongiungersi ai loro cari che sono già in Europa, talaltra il sogno di una vita migliore nelle nostre terre. Purtroppo molte di queste attese si riveleranno false e molti miti cadranno ben presto. Occorre allora che si accenda una nuova luce che sostituisca la luce ingannatrice dei sogni portati dalla televisione o dai giornali, la luce della nostra fede e della nostra carità. È Cristo che ancora una volta può rivelarsi ai popoli come fonte di vita e di gioia, ma può farlo solo attraverso di noi.

Il nostro Paese ha dato, in questi ultimi anni, una testimonianza di grande capacità di accoglienza. Oggi, di fronte al moltiplicarsi delle migrazioni, tutti ci chiediamo, e anche la nostra Chiesa diocesana si interroga, su come accogliere in modo dignitoso ed umano queste persone, sui loro diritti e sui loro doveri, sulle condizioni per un loro inserimento decoroso nelle nostre terre, sulle loro possibilità di lavoro e sulle necessità che entrino a conoscere la nostra lingua, gli elementi fondamentali della nostra cultura e tradizione, così come noi siamo chiamati ad ascoltare le loro storie e a costruire degli itinerari che permettano un’integrazione positiva e arricchente nelle nostre città e nei nostri paesi.

Anche per loro Cristo è nato a Betlemme, anche a loro vuol dire la sua parola e vuol donare la sua vita. Un’Europa nuova può nascere, che non dimentichi la sua storia e le sue tradizioni, ma nello stesso tempo le esprima in una nuova sintesi feconda con i popoli che stanno arrivando.

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Non sarebbe completo, né giusto questo nostro discorso rivolto alla comunità cristiana e alle diverse nazionalità che abitano le nostre terre, se non dicessimo anche che occorre spingere in ogni modo la politica affinché i leader del mondo aiutino i popoli a trovare nelle loro terre le soluzioni più adeguate ai loro problemi. Tutto ciò significa aiutare il sorgere o il rafforzarsi della democrazia, sostenere una più giusta distribuzione delle ricchezze e dei beni della terra, favorire la pace tra i popoli combattendo il commercio delle armi e aiutando quelle forze che cercano l’arbitrato e la soluzione dei conflitti.

Ogni anno le festività del Natale, la giornata della Pace celebrata il 1° gennaio, la festa dell’Epifania, ci conducono a ritornare su questi temi e su queste speranze. È forse inefficace la nostra preghiera? Siamo forse abitati da una speranza sterile? Il cammino dei popoli, il loro progresso, come invocava Paolo VI, è destinato a fallire?

Io credo che non sia così. È vero che ogni generazione porta alla ribalta nuovi problemi, è vero che spesso si ha l’impressione di essere riportati ad affrontarli come dall’inizio. Ma dentro queste fatiche corre un fiume che noi stessi possiamo abitare. Il fiume dell’incontro tra i popoli e Cristo, che possono portarci a una nuova, feconda pagina di storia della Chiesa e del mondo.

È questo il mio augurio per tutti voi, per tutti noi, chiamati a scrivere assieme questa nuova pagina. Ci guidi e ci sostenga in questo affascinante compito la Vergine Maria. Sia lei per noi la stella che illumina i nostri passi e ci indica il luogo dove ci aspetta Gesù, suo figlio e nostro Signore.

Amen

+ Massimo Camisasca