Diciotto parole sulla fotografia

Non sei per niente originale

non sei per niente unica

ma copi solo la realtà

mia sciocca fotografia

Alice ha ventisei anni ed è autistica. La scienza ha classificato questa manifestazione come disturbo nello sviluppo neurologico, come a dire, succede, che gli studiosi davanti a dei punti interrogativi non vogliono lasciarci solo quelli, ma comunque metterci sopra una etichetta, invece di arrendersi innanzi a quel mistero, non ancora compreso e chissà per quanto tempo ancora lo sarà, Rita Levi Montalcini insegna, che è la mente umana.

Alice, da alcuni anni, frequenta l’associazione Onlus ‘Il giardino del baobab’, un ente che: “Vuole promuovere la cultura – mi dice Agnese Marconi, una delle responsabili – dell’unicità della persona e della differenza come risorsa, per dare voce e riconoscimento al pensiero dei ragazzi diversamente abili, creare occasioni di formazione, di opportunità lavorative, di incontro con la cittadinanza e di condivisione. I ragazzi, attraverso la Comunicazione Facilitata, (tecnica di comunicazione che viene utilizzata in assenza o inefficacia della comunicazione orale o gestuale) esprimono le loro idee e pensieri: un dono per chi li legge”. Un dono per davvero e vedremo più avanti il perché.

L’associazione ha sede in un piccolo appartamento al piano terra di un palazzo popolare in via Bergonzi, vale la pena dirlo perché si autofinanzia per mandare avanti le sue attività e i soldi, si sa, non piovono dal cielo. Il centro è frequentato da una ventina di ragazzi e ragazze, tutti con problemi di comunicazione, persone costrette quindi a rinchiudere fra le pareti del loro cervello i pensieri, ma che adesso possono, attraverso la Comunicazione Facilitata, esprimerli o, per dirla come Agnese Marconi, regalarceli. A vederli è stato un piacere, ognuno con accanto il suo angelo custode, mi viene proprio da chiamarli così i ‘facilitatori’, quelli che stanno alle loro spalle diventando, si potrebbe dire, le loro corde vocali. Tutti attorno ad un tavolo, in silenzio, non sempre per la verità, con davanti la tastiera di un computer o con un tablet, che ogni tanto servono per davvero a qualcosa di buono e non solo a smanettarci, come troppo spesso oggi fa certa gente.

Ma ritorniamo ad Alice, era stato chiesto a lei ed ai suoi compagni, di formare delle frasi riguardanti un oggetto scelto a caso. Qualcuno ci ha provato con castagna, un altro con vaso, poi con piatto e con sedia, finché a lei è toccata la parola fotografia e sullo schermo del tablet è comparsa pian piano la frase scritta all’inizio.

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Se la leggete per benino vi accorgerete di quanti significati profondi ci abbiano ‘regalato’ quelle semplici 18 parole.

Partiamo dall’inizio, da ‘non sei per niente originale’. La fotografia nasce infatti come desiderio di riprodurre, quindi copiare e perciò non originale, la realtà così come la vede l’occhio e non attraverso le interpretazioni dei pittori o dei disegnatori, invenzioni della mente e quindi originali, che fino all’epoca della scoperta della tecnica fotografica, la avevano raffigurata, la realtà. Lungi da me il voler entrare nella annosa polemica arte sì – arte no, voglio semplicemente mettere l’accento sul fatto che la fotografia è la rappresentazione di una cosa che accade davanti all’obiettivo, nel momento in cui si schiaccia il pulsante di scatto. Ci restituisce un’emozione, sì; può essere interpretata, va bene; e ancora, la didascalia può cambiarne il senso o è l’artista fotografo che sceglie il ‘momento magico’, ma è pur sempre quello che ho detto, una frammento di una realtà accaduta. Ogni altra considerazione è tanta voglia di arrampicarsi su degli specchi.

‘non sei per niente unica’, touché anche qui, perché un’altra caratteristica propria ed ineludibile della fotografia è la riproducibilità, infatti ne possiamo avere quante copie ne vogliamo. In fondo anche un originale molto datato, un ‘vintage’ si dice oggi, può essere fotografato e riprodotto, con tecniche opportune, infinite volte. Anche un quadro, direte voi, può essere fotografato e riprodotto, ma c’è una piccola differenza: il quadro ha tre dimensioni – la terza è lo spessore del colore o della pennellata – la fotografia ne ha due. Nella metà degli anni trenta, dopo i primi tentativi di Niépce e di Daguerre, tanto celebrati allora ma poi caduti dell’oblio, arriva Fox Talbot con il procedimento negativo-positivo, che porta con sé la possibilità di ricavare tante belle copie del nostro scatto per la felicità di tutti. È questo il sistema usato da tutti fino a poco tempo fa, qualcuno lo usa ancora, e che vale ancor di più oggi con il digitale, dove le copie si moltiplicano sui vari PC, hard-disk e social, Facebook, Instagram e WhatsApp compresi.

‘ma copi solo la realtà’. Vale sempre il commento scritto più sopra, e mi viene da aggiungere che questa caratteristica ha anche un grande vantaggio, quello, come ho ribadito più volte, di non mentire. La fotografia non dice le bugie e per questo da molti è tanto temuta ed è anche per questo che i fotografi passano ore, ora più che mai, davanti a uno schermo a ritoccare, per fare diventare quello che hanno fotografato qualcosa d’altro, per via del fatto che oggi vale apparire più che essere. Non sarebbe più corretto allora prendere in mano una tavolozza ed un pennello, che far  diventare un ingrandimento una:

‘mia sciocca fotografia’. Sono fotografo di professione, non cambierei mestiere per nessun motivo al mondo, amo profondamente quello che faccio e cerco sempre di farlo al meglio, ma questo mio amore non fa di un Cartier-Bresson un Tintoretto e le cose vanno dette come sono. Perciò grazie e chapeau! mia cara amica, con 18 parole hai detto tanto, forse molto di più dei migliaia di libri scritti da fior fiori di critici, studiosi, esperti, commentatori e via dicendo.

Perché le parole contano, con buona pace di quelli che a parole non vogliono i muri ecc. ecc., ma nei fatti scavano buche nel centro delle città per costruire parcheggi solo per i ricchi, dicendoci che così è meglio per tutti, mentre altri stanno al piano terra di un palazzo popolare per dare voce a quelli che la voce non ce l’hanno!

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