Ci vorrà del tempo per capire, bene, cosa è successo a Roma attraverso il Giubileo dei Ragazzi. Come per tutte le cose grandi.
Perché l’esperienza è stata sì pensata e costruita, ma come spesso accade quando in gioco ci sono le giovani generazioni, le sorprese fanno parte dei consuntivi. I giorni a disposizione non erano molti e non erano certo come quelli delle Gmg: estivi e lontani da impegni scolastici.
I ragazzi, questa volta, hanno lasciato il loro quotidiano e hanno sfruttato l’unico ponte dell’anno, vivendo un’esperienza che li ha assorbiti completamente per tre giorni. Si voleva che i ragazzi fossero immersi in un’esperienza composita, fatta di momenti diversi. Il Giubileo dei ragazzi è stato anzitutto un progetto educativo che iniziava a casa con gli incontri di preparazione.
A Roma era importante che vivessero la dimensione giubilare di gesti antichi: la preghiera, la confessione, il passaggio della Porta Santa. E che tutto questo fosse accompagnato da momenti di riflessione con le catechesi sulle opere di misericordia: sette tende in sette piazze perché Roma potesse raccontare non soltanto la sua storia e le sue bellezze artistiche, ma perché si trasformasse anche in un racconto dei gesti di carità.
Leggi tutto l’editoriale di Michele Falabretti su La Libertà del 30 aprile