Quella strana felicità

“Prima che il vento si porti via tutto, e che settembre ci porti una strana felicità (…) respira questa libertà, l’estate è la libertà”: il tormentone estivo di Jovanotti fa ancora timidamente capolino dalle stazioni radio, e sembra già un po’ fuori luogo. L’estate ora è finita, tutto ricomincia: il lavoro, la scuola, lo studio, gli impegni. “Si ricomincia”, lo dico con un sorriso anche ai ragazzi entrando in classe; “Speriamo che arrivino presto le vacanze di Natale”, “Era meglio la vacanza”, l’immancabile risposta. Troppo facile liquidare tutto come un “male generazionale”. Chi di noi adulti non prova la sottile malinconia di settembre, alla fine delle ferie? “Un anno è già passato”, proprio come dice la canzone, e ci ritroviamo nello stesso punto solo un po’ più vecchi. La stessa malinconia della “sera del dì di festa”. In fondo la ripresa è questo: un misto di attesa e di fatica, la speranza del compimento intrisa del timore che nulla accada e della disillusione del già saputo. È il malessere della ripetizione, descritta dalla sapienza poetica di Qoelet più di duemila anni fa: “Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna”, “Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole”. La ripetizione ci toglie le forze; ci strappa di mano il significato di tutto, l’eterno ritorno dell’uguale: tanta fatica e tanto desiderio di felicità per ritrovarsi, alla fine, nello stesso punto. Noi, slancio infinito in avanti, continuamente costretti a ripiegarci su quello che siamo.

Dislessia-infantile

Ci si para davanti, questa percezione, come un’obiezione decisiva alla nostra attesa di bene. “Noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia. E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile”, scrive Rilke. È questo il destino di tutto, il mio e di coloro che amo, e di questi ragazzi che ogni giorno ritrovo davanti a me? Esiste un orizzonte più ampio del cuore umano o davvero il vento, nel suo eterno giro, si porta via tutto, gioie e fatiche? È questa la malinconia dell’inizio: nella ripetizione che costella le giornate percepire il limite costitutivo, che ci avvicina al quasi nulla. Cosa c’entra con me il rigoglio dell’estate se è solo una breve parentesi, cosa c’entra l’energia della maturità e l’esuberanza della giovinezza se tutto è vanità destinata a sfiorire?

Se lo è chiesto anche il grande Chesterton, e ha fatto una scoperta. È vero, la monotonia appartiene alla nostra vita e fa tutt’uno con noi; è vero, la realtà stessa è ciclica e ripetitiva, in obbedienza al proprio limite: il sorgere del sole, l’alternarsi delle stagioni. Però qui non sta la sua mancanza, ma il suo esubero di forza, il suo splendore di vita. Osservate il bambino piccolo, si raccomanda Chesterton: continuamente chiede “Dillo ancora”, “Raccontamelo ancora”, “Fallo ancora” agli adulti che ha accanto. Sono loro ad essere sfiniti, mentre lui, il bambino, ama la ripetitività perché è pieno di vitalità. Forse Dio è come un bambino e dall’origine dei tempi, con lo stesso entusiasmo per la monotonia, vede sorgere quel sole e sbocciare quelle margherite, e ogni giorno dice al sole: “Ancora!”, perché il sole sia; e alle margherite: “Ancora!”, perché le margherite esistano.

“Saluti dallo spazio, le fragole maturano anche qua”, canta Jovanotti. Eccola, quella strana felicità di settembre: forse la ripetizione non è il “no” al nostro compimento. Forse la ripetizione è la continua creazione, il “sì” detto eternamente a noi e all’essere. Forse ogni nostro istante, con tutto ciò che si porta dentro – la giovinezza e lo sfiorire, la risata argentina dell’estate e il silenzio dell’inverno – , è qualcosa di troppo nuovo perché possiamo accorgercene davvero: sottratto al nulla e all’oblio dall’incanto del nostro Padre eternamente giovane.

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