La forza di Salgado al forte di Bard

Appena entri in Valle d’Aosta, passato Pont Saint Martin, ti si staglia davanti imponente il baluardo del forte di Bard. Il promontorio su cui sorge fu fortificato da epoca immemorabile, infatti si alza in mezzo a una gola scavata dalla Dora e se vuoi andare verso il passo del Gran san Bernardo devi passare per di lì. Pure Annibale, con i suoi elefanti al seguito, dovette per forza gettarvi un’occhiata, prima di arrivare alle spalle delle legioni romane al tempo della seconda guerra punica, vinsero i romani che sulla rocca dopo ci piazzarono una guarnigione di sessanta uomini armati per evitare sgradite sorprese. Nel medioevo è citata spesso come ‘inexpugnabile oppidum’, proprietà della potente famiglia Bard e poi dei conti Savoia, proprio quelli che sarebbero diventati re d’Italia. Nella storia del forte ci mette lo zampino anche Napoleone Buonaparte che, nel 1880, durante la seconda campagna d’Italia, volendo imitare, pur senza elefanti, Annibale ed arrivare alle spalle dei suoi avversari, gli austriaci e non i romani per intenderci, venne fermato per 15 giorni da un sparuto gruppo di difensori ben muniti, però, di cannoni e polvere da sparo. Il piccolo Corso, nato ad Ajaccio da Letizia Ramolino e Carlo Buonaparte, ci rimase tanto male che, passato un po’ di tempo, mandò indietro qualche suo amico a restituire le cannonate prese.

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Sebastiao Salgado

Il forte fu ricostruito a partire dal 1830, più o meno come prima del regalo dell’ultimo imperatore dei francesi, ed è esattamente così come lo si vede oggi.

La piazzaforte è costituita da tre corpi posti uno sopra l’altro e collegati da ripidi corridoi a volta scalinati per un totale, solo per darvi un’idea delle dimensioni, di 283 stanze.

In alcune di queste, fino al 30 settembre, è possibile visitare la mostra fotografica ‘Genesi’, a firma Salgado: Sebastião Ribeiro per l’anagrafe, nato nel 1944 a Aimorés nel sud-est del Brasile e presto emigrato in Europa per intraprendere la carriera di fotografo professionista, firmando subito alcuni reportage che appartengono assolutamente alla storia della fotografia. Indimenticabile è quello sulla miniera d’oro della Serra Pelada in Brasile, una serie di immagini che me lo hanno fatto amare immediatamente. La mostra presenta ben 245 stampe, alcune di grandissimo formato, scattate nei cinque continenti. Il suo sguardo è innocente e sicuramente appassionato, teso fino allo spasimo a sottolineare la grandiosa bellezza di terre ancora incontaminate e pure, terre dove la mano dell’uomo non è ancora arrivata a rovistare e a mettere tutto sottosopra.

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Sebastiao Salgado

Le fotografie sono veramente straordinarie, bellissime e coinvolgenti, ma proprio qui sta l’inghippo:

“Ho chiamato ‘Genesi’ il progetto – spiega Salgado  (virgolettato dalla cartella stampa consegnatami alla biglietteria della mostra) – perché, per quanto possibile, desidero tornare alle origini del pianeta, all’aria, all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita; alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento; alle remote tribù dagli stili di vita cosiddetti primitivi e ancora incontaminati; agli esempi esistenti di forme primigenie di insediamenti e di organizzazione umane. Nonostante tutti i danni già causati all’ambiente, in queste zone si può trovare ancora un mondo di purezza, perfino di innocenza. Con il mio lavoro intendo testimoniare com’era la natura senza uomini e donne e come l’umanità e la natura per lungo tempo siano coesistite in quello che oggi definiamo equilibrio ambientale”. Chi ci capisce è bravo, va bene tutto bello e tutto puro, ma il mondo, secondo me, è tutta un’altra cosa e per uno che viene dal reportage questo suo lavoro mi è sembrato, dopo aver letto le sue parole, più che altro un’operazione commerciale bella e buona.

Avevano proprio ragione Cartier-Bresson e lo Stanislao Farri di casa nostra, quando dicevano che i fotografi meno parlano del loro lavoro meglio è.

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