Ma il giorno dopo non si sorride più, si vive alla giornata

Dopo la gioia e gli abbracci a piazza Syntagma, davanti al parlamento di Atene, dei sostenitori del “No”, usciti vincitori dalle urne referendarie, oggi la Grecia si risveglia con i problemi di sempre, se non peggiori, almeno secondo gli sconfitti, quelli del fronte del “Sì”. All’aria di festa oggi si è sostituita una di attesa silenziosa, preoccupata. “Nessuno sorride più e si continua a vivere alla giornata come sempre” dice da Atene il presidente di Caritas Grecia, padre Antonio Voutsinos. I volti della gente serrati come le saracinesche dei negozi e delle banche che da giorni non erogano più denaro dai bancomat. Oltre il 60% dei greci ha scelto di dire ”Oki” (no) al referendum indetto da Tsipras sulla proposta dei creditori, ma non basta per ridare il sorriso ad un Paese sull’orlo del default. “In realtà – commenta critico il presidente dei vescovi cattolici greci, monsignor Franghiskos Papamanolis – il referendum chiedeva al popolo di accettare o meno il piano di accordo presentato da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale nell’eurogruppo del 25 giugno 2015. Ma nessuno conosceva il contenuto di questo accordo che non è stato nemmeno tradotto in greco”. Per l’arcivescovo il quesito, quindi, non sarebbe stato posto in modo chiaro come richiesto dalla legge: “se avessero chiaramente detto: volete l’Europa, volete l’euro, Sì o No? L’80% delle persone avrebbe risposto ‘Sì’. Credo che il ‘No’ avrebbe avuto più valore se fosse stata la risposta ad un quesito chiaro. Così non è stato. E il premier greco si è dimostrato incompetente”. La Grecia, mai come ora, ha bisogno di certezze e chissà se queste potranno venire già dal vertice dell’Eurozona convocato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente francese Francois Hollande, subito dopo aver appreso l’esito del referendum. Le dichiarazioni dei vertici europei non sono tranquillizzanti: “nuove negoziazioni con la Grecia sono difficilmente immaginabili”, ha detto il vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel. “La proposta bocciata dal popolo greco era quella condivisa dagli altri 18 Paesi. Ora tocca al governo greco avanzarne una che convinca le altre nazioni”, ha affermato il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz. Insomma, il cerino acceso adesso è in mano greca e chissà se basteranno le dimissioni del ministro dell’Economia, Yanis Varoufakis (al suo posto Euclid Tsakalotos), a facilitare l’accordo o le rassicuranti parole di Tsipras: “Vogliamo un accordo per uscire dall’austerity e un’Europa della solidarietà. Vogliamo continuare le trattative con un programma di riforme e di giustizia sociale”.

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Un “no” all’austerità. Parole condivise anche da padre Voutsinos: “Le urne non hanno detto ‘no’ all’Europa e all’Euro, ma a tutte quelle misure di austerity che non faranno altro che aumentare la povertà della popolazione che è già tanta”. E questo il presidente di Caritas Grecia lo sa bene dal momento che la Chiesa cattolica greca, dall’inizio della crisi, sostiene chi è in difficoltà. “Le banche sono chiuse, non si può ritirare il denaro per acquistare il necessario. Solo i pensionati possono ritirare 120 euro a settimana. Se le banche dovessero restare chiuse – avverte il sacerdote – il rischio di forti tensioni sociali e disordini sarebbe altissimo. Il Governo spera in un accordo più sostenibile per il nostro Paese. Noi vogliamo restare in Europa ma come si può quando si pensa al bene delle banche e non a quello delle persone?”. Il fronte politico interno greco, intanto si muove. Il premier Tsipras ha convocato i leader dei partiti per creare un fronte unito, dal quale solo l’estrema destra, Alba dorata, si è chiamata fuori. “È un buon segno – spiega padre Voutsinos – è la prima volta che tutti i partiti cercano convergenze e visioni comuni. Forse è il primo frutto di questo referendum. Con questo voto il popolo greco ha chiesto all’Europa un accordo sostenibile che gli permetta di riprendere a sperare nel futuro”.

Un segnale all’Ue. Parla di speranza anche il vescovo Dimitrios, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia. “Con questo voto i greci hanno ribadito la loro intenzione di restare in Europa e di voler trattare con i creditori. Non possiamo avere altri orientamenti. Nella disperazione quello di ieri è stato un voto di speranza.  Sia coloro che hanno votato per il ‘Sì’, sia i sostenitori del ‘No’ condividono lo stesso problema, come sopravvivere al momento presente”. Per l’esarca “c’è poco da gioire, purtroppo, ma sperare che i nostri governanti si rendano anche conto degli obblighi che la Grecia ha come Paese debitore e di come questi soldi ricevuti in prestito sono stati spesi. È impensabile una rottura adesso con i nostri partner europei. Bisogna arrivare ad una soluzione sostenibile che non porti il popolo alla rovina. La Grecia – sostiene – ha lanciato un segnale forte all’Europa invitandola a riflettere che forse quanto sta accadendo qui potrà replicarsi a breve anche in altri Paesi dell’Ue. Allora chiediamoci come siamo arrivati a questo punto. Contano di più l’interesse e l’economia o piuttosto il bene della persona?”. Intanto il 20 luglio scadono 4,2 miliardi di bond e cedole detenuti dalla Bce che li ha acquistati con il programma di stabilizzazione degli spread. Le sofferenze per il popolo non sono finite.

Daniele Rocchi

 fonte: www.agensir.it