Totalmente dipendenti

Qualche giorno fa mi sono finalmente deciso a far riparare il mio smartphone. Non perché avesse smesso di assolvere alle sue funzioni essenziali di telefono, di ricevere e inviare messaggi e di navigare in rete. Semplicemente perché, per qualche incomprensibile motivo, da un po’ di tempo non era più in grado di connettersi in modalità wi-fi e bluetooth. Niente di essenziale, per carità, ma perché non sfruttare tutte le sue potenzialità, visto che ci sono?

Così un sabato mattina mi reco in un centro specializzato, dove apprendo che in un’oretta se ne sarebbero occupati. “Ottimo – mi dico – il tempo di un paio di commissioni e riavrò il mio telefonino più intelligente che mai”. Chiudendomi la porta alle spalle, mi sorprendo addirittura un po’ eccitato dall’idea di un frangente di libertà dalla dipendenza digitale. Guardo persino con un pizzico di superiorità gli altri passanti con la mano fissa all’orecchio o intenti a compulsare sulla tastiera.

Mentre mi sposto in bici lungo il centro città, ecco apparirmi una spettacolare auto d’epoca parcheggiata in bella vista. “Qui ci vuole una foto da postare subito sui social”, è il mio primo pensiero. Peccato che l’oggetto necessario per scattarla in quel momento sia in laboratorio. Pazienza, anziché sulla bacheca di Facebook cercherò di conservarne il ricordo nel cuore.

È ora di andare in biblioteca, nel fine settimana voglio proprio dedicarmi a quel libro che mi ha consigliato un amico tempo fa. Non mi sovvengono però nome dell’autore e titolo – sarà l’età – ma che problema c’è, me li sono segnati sull’applicazione note del mio telefono… Appunto. Come non detto, la piacevole lettura dovrà attendere.

Poco dopo mi ritrovo in una lunga fila in un negozio. Mamma mia quanta gente, quanto tempo sta passando. Già, quanto? La risposta non riesco a darmela, da anni non porto orologi perché tanto l’ora la guardo sempre sul display del cellulare…

Cerco di controllarmi, cosa sarà mai accumulare un po’ di ritardo sulla tabella di marcia dei futili rituali del weekend? Magari tuttavia meglio avvisare a casa. Ehm… ma come si fa, senza la scatolina magica? Le cabine telefoniche esistono ancora? Se sì, come funzionano?

Insomma, sono bastati sessanta minuti senza smartphone in tasca per scoprirmi nudo e impreparato a gestire banali incombenze. Ci sto un po’ ironizzando sopra, ma le mie piccole disavventure mi hanno costretto ad una riflessione: la dipendenza da tecnologia non è uno scherzo e non è affatto una questione circoscritta ai cosiddetti nativi digitali.

Provate a contare anche voi quante volte in una giornata tipo rivolgete lo sguardo allo schermo del vostro telefono o del vostro tablet. Tante, tantissime, anche quando non squilla, anche se non abbiamo ricevuto messaggi. Siamo talmente assuefatti dagli stimoli digitali che li andiamo a cercare anche se non arrivano. Ci illudiamo che il multitasking ci renda più efficienti, in realtà divoriamo una mole impressionante di informazioni e dati che tuttavia non riusciamo ad assimilare. Siamo diventati bulimici digitali. E la comodità offerta dalle applicazioni ci intorpidisce spesso la mente e i sensi.

Attenzione, non si tratta solo di abitudini opinabili, in ballo c’è probabilmente anche la nostra salute. Non è ancora chiaro che conseguenze neurologiche può avere questa iperconnettività, specialmente su cervelli in fase di sviluppo come quelli di bambini e ragazzi, proprio quei “millenials” che non vanno online, ma che vivono online. E che un domani, sulla rete, potranno comprarsi quasi tutto il proprio fabbisogno, per questo quindi vezzeggiatissimi già oggi dall’industria dell’e-commerce.

Come sempre, non siamo di fronte ad una lotta tra il bene e il male. La chiave è sempre nell’uso che si fa delle risorse, anche quelle straordinarie offerte dalla rete. L’educazione digitale è, a mio modesto avviso, una nuova sfida che attende istituzioni e famiglie.

Ah, dimenticavo: in laboratorio non sono riusciti a ripararmi il wi-fi e il bluetooth. Amen, sopravvivrò lo stesso.

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