Il comandante «Carlo», partigiano per amore degli oppressi

Da Avvenire del 25 settembre 2014-

In località Ca’ Marastoni, nella parrocchia di Monzone di Toano, sull’Appennino di Reggio Emilia, sorge la cappella-sacrario delle Fiamme verdi, la brigata che durante la Resistenza arruolò centinaia di valorosi cattolici, a cominciare dal loro comandante montanaro, don Domenico Orlandini, più noto come ‘Carlo’, il nome di copertura partigiana che gli rimase anche in tempi di pace.

In questo luogo venerdì 26 settembre, troveranno definitiva sepoltura le spoglie di don Orlandini, traslate dal cimitero di Pianzano (Carpineti), il paese dove la sua giornata terrena si chiuse il 13 ottobre 1977 e in cui, nella canonica ove fu parroco dal 1954 al 1966, una targa lo ricorda come «sacerdote e condottiero, missionario di fede e libertà».

La nuova collocazione dei resti mortali sarà solennizzata dalla presenza, a Ca’ Marastoni, dell’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare in Italia, che alle 16.30 presiederà la liturgia, cui seguiranno i saluti dei sindaci di Toano e Villa Minozzo e l’intervento di Danilo Morini, presidente dall’Associazione Liberi Partigiani Italiani-Partigiani Cattolici. Ci saranno i partigiani superstiti delle ‘Fiamme Verdi’ e i rappresentanti delle associazioni d’arma, in particolare degli Alpini: occorre ricordare infatti che la Brigata guidata da ‘Carlo’ ottenne dal presidente del Consiglio supremo della Difesa, Alessandro Casati, il riconoscimento come reparto del Regio Esercito Italiano operante dietro le linee del fronte con la denominazione di ‘Fiamme Verdi del Cusna’.

Nato il 25 maggio 1913 a Poiano, piccola frazione di Villa Minozzo (Reggio Emilia), Domenico Orlandini entrò nel Seminario minore di Marola (Carpineti), dove completò anche gli studi liceali e di teologia, venendo ordinato sacerdote il 9 giugno 1940. Nel settembre dello stes¬so anno fu inviato come vicario par¬rocchiale a Montecchio Emilia, ove introiettò gli anticorpi al fascismo, prima di diventare parroco nel pae¬se natale. Se dopo l’8 settembre 1943 ‘Carlo’ entrò da protagonista nella vicenda resistenziale fu per puro spirito di carità. La sua casa di Poiano si trasformò in un posto di raccolta e ristoro per sbandati italiani e soprattutto per i prigionieri alleati scappati dai campi di concentramento. Fu e rimase sempre anzitutto sacerdote, ribelle non per egoismo, ma per amore degli oppressi, pur avversando le loro idee ingiuste. Come comandante sentì il dovere di non essere uomo di partito, ma di rispettare le scelte partitiche, soprattutto quando era indubbia la buona fede di chi le compiva, con lo sguardo costantemente rivolto al progetto di pacificazione degli animi.

Dopo la disfatta dell’estate 1944, fu don Orlandini a riproporre con forza la riorganizzazione dell’azione militare partigiana, affidata al Cln e non a singoli capi.

La sua opera fu decisiva per tenere i collegamenti tra partigiani e forze alleate.

La stessa cappella-sacrario di Ca’ Marastoni fu voluta da ‘Carlo’ per ricordare il luogo simbolo in cui, nella Pasqua di sangue del 1° aprile 1945, le Fiamme Verdi e il battaglione alleato con paracadutisti e russi sconfissero la massiccia intrusione in territorio partigiano di truppe tedesche e della Rsi. Con la Liberazione ‘Carlo’ si congedò dalle armi e tornò al servizio della povera gente della sua montagna, tra Talada, Monzone e Pianzano. Con una parentesi giornalistica: per alcuni anni fu il responsabile della pagina reggiana de ‘L’Avvenire d’Italia’, firmandosi ‘donor’: crasi di don Orlandini, in italiano, ma in inglese ‘donatore’. Nel nome un destino.

Edorado Tincani

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