Da Novellara a Pucallpa…

Ed ecco Pucallpa, dopo un lungo viaggio ed un’ultima tratta di volo da Lima passata ad ammirare dal finestrino dell’aereo le sabbiose Ande e l’immensa distesa del verde amazzonico. La prima sensazione che ho provato è stata quella di essere vicinissima alla Terra. Una terra fatta di natura selvaggia, di farfalle dai colori di cui prima ignoravo l’esistenza, e di persone che senza alcun timore, senza neanche conoscerti e sapere da dove vieni, ti abbracciano e ti fanno sentire a casa. Loro, che una casa, almeno per come la intendiamo noi, molto spesso non ce l’hanno.

Sono partita per il Perù per andare a fare volontariato alla Parroquia san Francisco de Asìs. Ho conosciuto questa realtà grazie a don Silvio Andrian , sacerdote per dieci anni presso la parrocchia Sacra Famiglia di Saronno, la mia città, che da dieci mesi è stato assegnato alla missione di Pucallpa. Tramite lui ho incontrato il gruppo missionario di Novellara che segue e sostiene questa missione e mi sono unita a loro per questa esperienza. Infine, giunta in Perù, ho conosciuto Don Andrea Gilardi, sacerdote originario dell’interland  milanese, che si trova alla Parroquia da quasi tre anni.  Prima della partenza ho partecipato ad alcuni incontri di preparazione in cui ho conosciuto i miei futuri compagni  di missione.

L’esperienza della missione non inizia dal momento in cui “ci si mette piede”, è anche tutto il cammino di riflessione personale che ti porta a scegliere di andare e  poterlo condividere con altre persone che hanno maturato la tua stessa scelta.

Ma torniamo a Pucallpa. Sicuramente la missione della Parroquia san Francisco non rispecchia la comune immagine di missione. L’idea alla base di questo progetto è quella di creare un oratorio, una comunità coinvolta attivamente nella vita parrocchiale. A noi sembra impresa facile, ma già dopo i primi giorni a contatto con la gente appare chiaro che i pucallpini sono molto radicati nelle loro abitudini e nella loro semplicità. Hanno un forte spirito comunitario, sono persone estremamente accoglienti e affettuose, ma quando si parla di organizzazione, di rispettare orari e impegni.. bè non è proprio il “loro forte!”. Sono persone molto legate alle loro abitudini, e per noi che cerchiamo di dargli indicazioni sanitarie, igieniche o qualche consiglio su come migliorare le loro case, è impresa non facile. Basti pensare al fatto, per esempio, che alcuni di loro avrebbero la disponibilità economica per avere l’acqua corrente in casa , o un bagno che non sia una buca nel terreno, ma tutto ciò non rientra nelle loro priorità. Preferiscono acquistare un televisore, uno stereo o un cellulare. Questo atteggiamento mi ha fatto molto riflettere. Sono giunta alla conclusione che dopo i bisogni primari la loro più grande necessità sia quella di “stare al passo col mondo”. Il pensiero successivo è stato: quindi è questo che i paesi più sviluppati trasmettono? È questa l’idea di benessere che abbiamo? Ad ognuno le proprie considerazioni.

Difronte alla Parroquia , dall’altro lato della strada sterrata e polverosa (come tutte quelle della città ad esclusione di un po’ di asfalto in centro) si trova la casa delle suore Cappuccine di madre Rubatto. Conoscerle, ascoltare le loro storie  e vedere la loro dedizione verso i  bambini  è stata l’esperienza che mi è restata maggiormente nel cuore. Le suore accolgono nella loro casa i bambini durante la mattina o il pomeriggio, e li seguono nei compiti. Nel corso delle settimane di permanenza siamo andati anche noi ad aiutarle. È stato così possibile constatare  la semplicità dei loro programmi scolastici e la difficoltà delle famiglie a seguire i figli nel percorso di studi.  Durante il momento di svago abbiamo cercato di insegnare ai bambini dei nostri comuni giochi e di metterli in pratica, ma già dal secondo giorno abbiamo capito che era l’atteggiamento sbagliato, in quanto dopo pochi minuti dall’inizio si distraevano e riprendevano i loro. Così abbiamo iniziato noi a seguirli, siamo entrati noi nella loro realtà, e non viceversa. Quando sono partita credevo di  “dare una mano”, di andare ad insegnare, o comunque di portare qualcosa che in quel luogo mancava. Mi sbagliavo. Credo di aver ricevuto più io da tutti loro, che loro da me.   La mia esperienza è stata breve e quello che ho vissuto credo sia solo l’inizio di un esperienza missionaria, un primo approccio a questa realtà. Sicuramente tutti i missionari “stabili” di Pucallpa, del Perù e di qualsiasi altra parte del mondo ,  aiutano più concretamente di quanto ho potuto fare io. Basta pensare alla nuova Maloka – il punto di incontro della comunità peruviana dalle origini-   che Don Andrea sta costruendo nel giardino della Parroquia; la Casa de la Salud – ospedale gratuito per le persone che non si possono permettere cure o che sono senza documenti – che sta portando avanti Don Silvio;  il Centro di Accoglienza che Padre Massimo sta creando nella sua parrocchia non lontana dalla “mia”; e tanti altri progetti in corso di realizzazione.

Avrei ancora molte cose da raccontarvi del Perù. Sensazioni, emozioni, stati d’animo… Risalendo sull’aereo che mi avrebbe riportata a Lima e poi in quel di Milano , cercando di camuffare la commozione e la nostalgia che già avvertivo , quella che in portoghese si dice “Saudade” , l’unica cosa che mi son sentita di fare è stata ringraziare per  le settimane a Pucallpa , per la magnifica e intensa esperienza vissuta e per i sorrisi di tutti i bimbi che porterò nel cuore.

Gloria

Pucallpa


LA MESSE È MOLTA

«Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? Non è quel che vidi che mi fermò. È quel che non vidi. Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era: in tutta quella sterminata città c’era tutto, ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo. Ma le vedevi le strade? Anche solo le strade, ce n’era a migliaia. Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce, e quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla?» (A. Baricco, Novecento)

Ci sono salito su quell’anello, quello che sta in cima alla nuova maloka, la nostra nuova chiesa. Ci sono salito anche se al momento la chiesa non è completa, ci vuole ancora pazienza e tante attenzioni. Già abbiamo dovuto affrontare varie difficoltà per poterla cominciare, e altrettante durante la costruzione stessa. Però poco a poco si sta realizzando. Sempre ce l’ho davanti agli occhi, ma per una volta ho voluto vederla dall’alto. E quello che mi ha colpito lo descrive bene Baricco nel suo libro, qui sopra. Su quell’anello, mi guardo intorno e non vedo una fine. Solo vedo uno spazio sterminato, strade che si perdono dietro l’orizzonte, case che si mischiano al verde, a perdita d’occhio.
E dentro quelle case, si gioca la vita con i dadi, secondo la fortuna o la sfortuna del momento, con necessità sterminate. Non vedo mai la fine. I bambini hanno bisogno di tante cose materiali per crescere, hanno bisogno di buoni maestri per imparare, di nuclei familiari che gli vogliano bene: con le nostre suore si procede ad assistere alcuni tra i casi più fragili, circa 40, ma cosa è questo in confronto alla stragrande popolazione infantile?
E i ragazzi, chi li ascolta? Chi gli indica le vie buone? Chi li orienta perché non si perdano per strada? Chi li salverà da una vita randagia e istintiva? Con i professori e i catechisti si offrono spazi di ascolto, ma i gridi più soffocati, interiori, personali, chi li raggiunge?
E gli ammalati, ma quanti ce ne sono! in questi mesi, a peggiorare le cose, c’è uno sciopero nazionale dell’apparato sanitario, dura da maggio. Funziona solo l’emergenza. Ma tutti i casi che hanno bisogno di cure e terapie sono rimandate a data da destinarsi. Nemmeno è possibile realizzare campagne mediche, i medici sono in sciopero. Solo funzionano le cliniche private, a prezzi spesso inaccessibili. Si passa così ai rimedi naturali, in qualche caso agli stregoni: fa pena questa cosa, ma cos’altro rimane? Il nostro gruppo di salud visita alcuni ammalati, altri li riceve e li aiuta con medicine, ma questa città è un ospedale a cielo aperto.
E le famiglie che si presentano con le loro povertà, soprattutto affettive, per litigi, separazioni, violenze casalinghe, tradimenti, in una scia di tristezza e di sfiducia verso l’altro: non sanno dove sbattere la testa. Ci sono occasioni per poterne parlare, perlomeno per dare un’idea che è possibile una vita alternativa, se solo lo volessero. Ma son briciole che non saziano la fame grande.
Per non parlare poi delle necessità spirituali: in mezzo alla confusione religiosa per la presenza di varie sette, alle credenze e alle superstizioni, ad una fede costruita più sulla paura che sulla gioia del Vangelo, vivere una proposta spirituale sembra un sogno, una utopia, e molti lasciano perdere ancora prima di cominciare. La nostra comunità propone i suoi cammini, ma spesso mi sembrano così fragili. E il pane di Dio ancora non arriva a tutti, chissà quando sarà.
Una messe sterminata, dunque. Ha ragione Gesù quando chiede una mano, braccia operaie, animi grandi che si preoccupano della mietitura: non della semina, ma della mietitura, è diverso. Non con la tecnica industriale e la forza delle macchine, ma con l’antico dolce metodo del spiga a spiga, persona per persona, con tutta la delicatezza di questo gesto.
Il gruppetto di italiani che han scelto di passare le loro vacanze tra noi vi racconteranno proprio di piccole esperienze coi bambini, con gli ammalati, con le persone che partecipano in questa comunità, con le genti che vivono sul rio. Sono esperienze piccole, ma dentro hanno una forte carica simbolica.
La nostra parrocchia, giovanissima, comincia a prendere un pó di consistenza, è finita l’età della prima infanzia e delle coccole. Ora ci rendiamo conto che le richieste e le attese aumentano. E la generosità é sempre insufficiente. Le braccia anche.
Per questo da quest’anello, da cui si aprono panorami infiniti, penso che la nostra presenza è un simbolo, una realtà che non risolve tutti i problemi, anzi mi sa nemmeno uno, però vuole dare una speranza. Non si vede mai la fine, ma si può vedere l’inizio di qualcosa di bello. Anche completare una chiesa bella, perché la povera gente si rianima quando vede realizzarsi qualcosa di bello per loro, e per come può collabora, e si emoziona.
È con questo animo che vorremmo inaugurare la nuova maloka, la nostra chiesa, in coincidenza con la festa patronale di San Francesco. Probabilmente mancheranno vari dettagli, però spero che sia finito il tetto, sufficiente per potervi celebrare la messa. Per quello che posso percepire, per la simpatia che stiamo ricevendo, per la vicinanza curiosa di ragazzi e famiglie che stanno scoprendo ora che esiste una parrocchia, per la collaborazione con le altre parrocchie, per i gesti semplici a cui ho potuto assistere, per il continuo e costante interesse del vescovo Gaetano, credo che sarà una bella festa popolare… di quelle che scaldano un po’ il cuore.
Ringrazio chi da lontano, in Italia, partecipa a questa nostra festa con le preghiere e le opere, e se magari entrasse nel cuore il desiderio di fare un giro da queste parti, beh, sarete i benvenuti!
Paz y Bien!

don Andrea Gilardi

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