Padre Raniero Cantalamessa le canta agli avidi di denaro. Una dura omelia in San Pietro il Venerdì Santo

“Dietro ogni male della nostra società c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro. E la crisi finanziaria che il mondo ha attraversato e che questo Paese sta ancora attraversando, non è dovuta in buona parte all’ esecranda bramosia di denaro da parte di alcuni pochi? Non è già scandaloso che alcuni percepiscano stipendi e pensioni cento volte superiori a quelli di chi lavora alle loro dipendenze e che alzino la voce appena si profila l’eventualità di dover rinunciare a qualcosa, in vista di una maggiore giustizia sociale?”.

Queste durissime e inequivocabili parole non sono state pronunciate da un sindacalista durante una manifestazione, ma dal Cappuccino padre Raniero Cantalamessa, predicatore apostolico e sono riecheggiate sotto la cupola di Michelangelo nella Basilica di San Pietro. Lo ha fatto alla presenza di Papa Francesco, che ha fatto dell’attenzione ai poveri, alle periferia lo stigma del suo pontificato. E ha puntualizzato: L’attaccamento al denaro – dice la Scrittura – è la radice di tutti i mali (1 Tm 6,10).

Esso è il Moloch di biblica memoria, a cui venivano immolati giovani e fanciulle, o il dio Azteco, cui bisognava offrire quotidianamente un certo numero di cuori umani”. Infatti, come tutti gli idoli, il denaro è falso e bugiardo: promette la sicurezza e invece la toglie; promette libertà e invece la distrugge. Giuda cominciò con sottrarre qualche denaro dalla cassa comune. Dice niente questo a certi amministratori del denaro pubblico?

Quanto sono tremendamente vere ed attuali, anche per l’Italia queste severissime e al contempo magistrali affermazioni! L’Italia sta ancora attraversando una crisi economica tremenda: disoccupazione giovanile a livelli altissimi, esodati e disoccupati in aumento, soprattutto nella fascia dei cinquantenni e sessantenni, ripresa economica che non si vede, scarse prospettive per le nuove generazioni, da una parte. E dall’altra manager pubblici, alti funzionari dello Stato, presidenti e amministratori delegati di aziende pubbliche, partecipate e municipalizzate che hanno il coraggio di lamentarsi, minacciando anche di cambiare mestiere, perché i loro lauti e astronomici stipendi – 800mila, 1 milione di euro all’anno – vengono ridotti; una classe politica pagata ben più degli omologhi europei con benefit, indennità, vitalizi, gettoni invidiabili.

E non parliamo poi del settore privato e del mondo delle banche! Il governo Renzi vorrebbe mettere un tetto (sic), ma stipendi annui che arrivano quasi ai 300mila euro annui sono ancora obiettivamente eccessivi in questo momento in cui milioni di famiglie italiane sono entro la soglia di povertà.

Negli anni ’70 e ‘80, per spiegare, in Italia, gli improvvisi rovesciamenti politici, i giochi occulti di potere, il terrorismo e i misteri di ogni genere da cui era afflitta la convivenza civile, si andò affermando l’idea, quasi mitica, dell’esistenza di un “grande Vecchio”: un personaggio scaltrissimo e potente che da dietro le quinte avrebbe mosso le fila di tutto, per fini a lui solo noti. Questo “grande Vecchio” esiste davvero, non è un mito; si chiama Denaro! ha ribadito con forza padre Raniero.

E ha aggiunto “Quante volte, di questi tempi, abbiamo dovuto ripensare a quel grido rivolto da Gesù al ricco della parabola che aveva ammassato beni a non finire e si sentiva al sicuro per il resto della vita: Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà? (Lc 12,20).

Uomini collocati in posti di responsabilità che non sapevano più in quale banca o paradiso fiscale ammassare i proventi della loro corruzione si sono ritrovati sul banco degli imputati, o nella cella di una prigione, proprio quando stavano per dire a se stessi: Ora godi, anima mia. Per chi l’hanno fatto? Ne valeva la pena? Hanno fatto davvero il bene dei figli e della famiglia, o del partito, se è questo che cercavano? O non hanno piuttosto rovinato se stessi e gli altri? Il dio denaro si incarica di punire lui stesso i suoi adoratori.

Un’omelia, quella di padre Cantalamessa che tanti – in posti di responsabilità – farebbero molto bene a leggere e rileggere attentamente e soprattutto a tradurre nella pratica quotidiana.

Giuseppe Adriano Rossi

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